“Non è te che aspettavo” è un libro di Fabien Toulmé edito in Francia nel 2014 dalle edizioni Delcourt e ora tradotto in italiano dalla Bao Publishing. Si tratta di un fumetto di quasi 250 pagine che racconta la storia vera di una famiglia composta da Fabien, la sua compagna brasiliana Patricia e dalla piccola Louise. Ma il vero protagonista della storia è Fabien, un giovane francese che – dopo aver completato gli studi – si mette in viaggio alla ricerca di pace e tranquillità lontano dal caos e dallo stile di vita freddo e distaccato delle città francesi, prediligendo come meta i Paesi tropicali. Per questo è disposto a fare molti sacrifici e ad accettare qualsiasi lavoro purché si trovi “in qualche località non lontana dal mare”. Professore in Guadalupa, commerciale in Brasile, ingegnere in Guyana, capocantiere in Benin e poi di nuovo in Brasile dove conosce la sua amata Patricia. Una vita caratterizzata da continui cambiamenti di lavoro e traslochi, senza mai trovare pace, fino al giorno in cui, dopo dieci anni di vita ai tropici, Fabien decide di tornare in Francia assieme a Patricia e alla figlia Louise. A motivare la sofferta scelta sono la stanchezza per un lavoro non gratificante, la necessità di riavvicinarsi alla famiglia d’origine e la nuova gravidanza giunta ormai al terzo mese.
L'arrivo di Julia
Il ritorno in Francia sconvolge certamente gli equilibri di un uomo “ormai tropicalizzato” e non più abituato al freddo, al trasporto pubblico e ai visi poco espressivi e privi di calore umano delle cassiere dei supermercati francesi. Ma ciò che sconvolge in maniera più radicale la vita di Fabien è l’arrivo di Julia che inaspettatamente e contro ogni previsione medica nascerà affetta da trisomia 21, ossia con la sindrome di Down. Scoprirsi padre di una bimba down (o mongoloide, o handicappata) sarà per Fabien la prova più difficile da accettare, lui che durante i mesi di gravidanza non temeva altro che la figlia potesse avere questo tipo di malformazione cromosomica, forse per l’esperienza negativa avuta da bambino, quando i suo compagni di scuola lo “istruirono” sulla pericolosità di avvicinare un “mongoloide” perché aggressivo. Il peggior incubo di Fabien si realizza con l’arrivo della piccola Julia facendolo piombare in un baratro di rabbia, odio e rifiuto. Odio contro i medici, contro gli altri genitori ritenuti più fortunati, contro Julia, ma soprattutto, contro se stesso, incapace di amare e di donarsi, di riconoscersi padre di quella creatura e di prendersene cura con amore come aveva fatto con Louise. Avrebbe sicuramente scelto l’aborto, se i medici non avessero sbagliato la diagnosi, se lo avesse saputo prima, se avesse potuto decidere se far nascere Julia o no. Ma Julia si era in qualche modo “imposta” alla sua vita. Il dramma di Fabien si svolge tra continue visite in ospedale, centri specializzati dotati di un gran numero di esperti di ogni settore e di terapeuti di ogni tipo (centri che Fabien definirà ironicamente “handicapland”). Un dramma, ma un dramma a lieto fine perché tra rabbia e ironia, tristezza e dubbi, momenti di sconforto e attimi di speranza, Fabien riuscirà ad amare veramente Julia e a essere grato per il suo arrivo. Proprio lei che quando nacque non riuscì ad essere per il padre qualcosa di più che una piccola sconosciuta (“non riuscivo a provare il minimo affetto nei suoi confronti”) diventò l’orgoglio di papà (“il mio amore per Julia era diventato immenso”).
Una storia d'amore
Il resto è tutto da leggere: il rapporto con la compagna, l’aiuto della figlia Louise, le ricerche notturne su Google per capire la portata della malattia, l’incontro con altri genitori di bambini down, l’operazione al cuore, nuovi traslochi e cambi di lavoro, i primi passi di Julia, le sue prime parole, le speranze per il futuro, la capacità di prendersi le responsabilità che richiede l’essere genitori di un figlio “T21” e infine l’amore. Sì perché di una storia d’amore si tratta, amore tra un padre e una figlia che rischiavano di non conoscersi mai se solo i medici avessero previsto la malattia. In fondo la storia raccontata in questo libro, semplice e scorrevole, magistralmente illustrato, è un inno alla gioia, un inno alla vita, un inno all’amore contro la mentalità eugenetica che sta divorando l’Occidente, quella che Papa Francesco ha più volte definito la “cultura dello scarto”. Il 21 ottobre 2017, in un convegno promosso dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, il Papa ha spiegato che una mentalità “narcisistica e utilitaristica porta, purtroppo, non pochi a considerare come marginali le persone con disabilità». Un «atteggiamento di rifiuto di questa condizione, come se essa impedisse di essere felici e di realizzare se stessi, […] una tendenza eugenetica a sopprimere i nascituri che presentano qualche forma di imperfezione”. Papa Francesco ha ripreso con determinazione l’argomento lo scorso 16 giugno rivolgendosi al Forum delle Associazioni Familiari quando – parlando a braccio – ha posto l’esempio delle persone nane: “«Voi vi siete domandati perché non si vedono tanti nani per strada? Perché il protocollo di tanti medici è fare la domanda: 'Viene male?'”. Riferendosi all’aborto di tipo eugenetico il Papa ha aggiunto: “Nel secolo scorso tutto il mondo era scandalizzato per quello che facevano i nazisti per curare la purezza della razza. Oggi facciamo lo stesso, ma coi guanti bianchi”. Parole dure, scomode ed indigeste capaci però di descrivere senza edulcorazioni di sorta l’atteggiamento della società odierna nei confronti dei disabili considerati un peso sociale ed economico, una disgrazia che grava inutilmente e immeritatamente sulla famiglia per schiacciarla e metterla in croce.
L'esempio di Fabien
Per questo l’aborto “preventivo” diventa un’arma di distruzione di massa come dimostrano i dati di alcuni paesi europei dove la diagnosi di Trisomia 21 è diventata sinonimo di aborto! Così in Germania, ma anche l’Islanda, la Svezia e la Danimarca sono intenzionati a diventare Paesi “down syndrome free”; in altre parole Paesi che hanno come obbiettivo lo sterminio totale dei bambini down a suon di aborto. Ovviamente tutto giustificato con il nobile obbiettivo di far scomparire la malattia. Come se per far combattere il mal di testa uccidessimo tutti i soggetti a rischio di emicrania! (Come diceva qualcuno: “ci sono due modi di far fuori chi detesti: l’omicidio e l’aborto. Il primo è sporco e problematico, il secondo pulito e privo di fastidi”). Fabien – un tipo che sembra ben lontano dall’identikit dell’attivista prolife o del credente devoto – non impone insegnamenti morali ne tantomeno precetti religiosi relativi alla dignità della persona e della vita umana, ma racconta in prima persona la sua esperienza. Ed è tramite la sua esperienza che – forse incoscientemente – ci dimostra che mentre lui cercava di organizzare la propria vita “à la carte” in base alle proprie legittime esigenze di felicità, l’insoddisfazione e la noia erano in agguato, dietro l’angolo, pronte a scoraggiarlo e abbatterlo. Al contrario, nel momento in cui un evento inatteso fece irruzione nella sua vita presentandosi come un’irrimediabile catastrofe, fu costretto a mettere da parte i sogni per fare i conti con la realtà e con se stesso, a cambiare marcia, a convertire il suo cuore di pietra in cuore di carne, a passare dallo stato di giovane-uomo-con-figlia a quello di padre-amorevole, protettivo ma non troppo, di una figlia molto speciale che ora ama con tutto il cuore.