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Editori “puri”: quella di Di Maio, per ora, è utopia

Luigi Di Maio riprende una battaglia cara a Beppe Grillo, quella contro i giornalisti. A più riprese il comico genovese, durante i suoi show, ha accusato la stampa di aver abbandonato il suo ruolo di “cane da guardia” dell'opinione pubblica per strizzare l'occhio a poteri politici e finanziari.

“Quarto potere” nel mirino

“Non è vero che in Italia non c'è libertà di stampa – disse anni fa Grillo – la libertà di stampa c'è ancora. E' che non ci sono più i giornalisti. Stanno come nel medioevo, sotto il protettore”. Non a caso, dopo l'approdo in Parlamento del M5s a seguito delle elezioni del 2013, il “garante” pentastellato (ai tempi leader assoluto) vietò ai suoi le comparsate televisive e limitò al massimo le interviste. Diktat ammorbidito dopo la sconfitta alle Europee del 2014. Nelle discussioni che seguirono quel difficile maggio a Grillo venne chiesto di cambiare linea, consentendo ai politici del M5s di farsi conoscere non solo attraverso la rete ma anche sui media tradizionali. Oggi che i grillini governano la loro presenza su carta stampata e tv è all'ordine del giorno, al pari degli alleati della Lega e degli esponenti delle opposizioni. Ma questa maggiore affinità col “Quarto potere” non ha smorzato le diffidenze, come dimostrano le parole di Di Maio. 

Gaffe o no?

Andiamo per ordine. Sui principali organi di stampa oggi è stato pubblicato il video di una conversazione fra il vicepremier e il governatore della Puglia, Michele Emiliano. “Come state messi con Matera?” chiede Di Maio al suo interlocutore. Questi, sorpreso, risponde: “Matera è in Basilicata“. “Eh lo so” replica il ministro. Emiliano parla poi del raddoppio della ferrovia in direzione del capoluogo Lucano, scelta come capitale europea della cultura per il 2019. Parole che si prestano a due interpretazioni: 1) Di Maio ha commesso una clamorosa gaffe di geografia, cercando poi di porvi rimedio; 2) Il ministro intendeva chiedere proprio se la Regione Puglia stesse organizzando i collegamenti con Matera. I media hanno propeso per la prima interpretazione, ricamando nuovamente sulla presunta scarsa preparazione del vicepremier. Emiliano, tuttavia, poco dopo, su Facebook ha chiarito: “Questa storia che è stata messa in giro che il ministro Luigi Di Maio mi avrebbe parlato di Matera pensando che Matera fosse in Puglia è veramente una barzelletta, anche abbastanza ridicola – ha affermato il governatore – siamo, come al solito, a quelle modalità politiche che poi provocano solo la confusione dei cittadini e una reciproca sfiducia. Il ministro mi ha semplicemente chiesto cosa stiamo combinando per sostenere lo sforzo di Matera capitale europea della cultura. Ovviamente, io ho detto che i pugliesi hanno investito 2,5 milioni di euro per sostenere l’evento culturale in sé più il finanziamento milionario del raddoppio della ferrovia Bari-Matera per interconnettere la Puglia con la Basilicata”. 

Editori “impuri”

Il post è stato condiviso da Di Maio sul proprio profilo, dal quale aveva in precedenza lasciato partire un duro affondo nei confronti della stampa, sollevando un problema atavico del nostro sistema mediatico: la mancanza di editori “puri”, cioè che di professione facciano solo quello. “L'operazione di discredito verso questo governo continua senza sosta – ha scritto il leader del M5s -. Gli editori dei giornali hanno le mani in pasta ovunque nelle concessioni di Stato: autostrade, telecomunicazioni, energia, acqua. E l'ordine che è arrivato dai prenditori editori è di attaccare con ogni tipo di falsità e illazioni il Movimento 5 Stelle. Questo non è più giornalismo libero. Siamo di fronte alla propaganda dell'establishment che si fonda anche su contributi pubblici mascherati come la pubblicità da parte dei concessionari di Stato (quanti soldi prende Repubblica dai Benetton per la pubblicità?)”. Poi l'annuncio: “Bisogna fare una legge per garantire che gli editori siano puri e i giornalisti liberi di fare inchieste su tutte le magagne dei prenditori“. 

La realtà

Quello degli editori puri è, tuttavia, un modello che in Italia si è dimostrato economicamente insostenibile. Lo dimostrano vicende come quelle de Il Giornale, fondato nel 1974 da Indro Montanelli, che poi fu costretto a venderlo alla famiglia Berlusconi nel 1979 per ripianare le pendenze. Parliamo, fra l'altro, di un'epoca in cui il cartaceo non aveva concorrenza, salvo quella della tv pubblica. Figuriamoci oggi con i format televisivi all news 24h su 24 e il web 2.0. Gli esperimenti, in ogni caso, non sono mancati. Alcuni hanno avuto anche successo. Come il Fatto Quotidiano, gestito da una cooperativa di giornalisti – e con un modello di business fondato per lo più sugli abbonamenti – che però può contare su una firma molto apprezzata dal pubblico come quella di Marco Travaglio. Eccezioni che confermano la regola: oggi la gran parte dei quotidiani vede sedere nei propri cda grossi gruppi bancari e imprenditoriali. Questo limita la libertà dei giornalisti? Probabile. Ma – senza una maggiore appetibilità commerciale della stampa frutto di una lunga e approfondita riforma del settore che tenga conto dei nuovi media e operi un ricambio generazionale nelle redazioni – quello degli editori “impuri” resta un male necessario.    

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