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Il voto, un diritto che potresti non avere più

Qualche tempo fa a New York sono comparsi manifesti sui quali campeggiava la frase “Keep NYC trash free” (Mantieni la città di New York libera dalla spazzatura). Non era l’invito ad evitare di gettare i rifiuti in strada. Era un gesto di spregio nei confronti di una determinata categoria di persone. Infatti, sotto la scritta compariva, sormontata da un grosso divieto, la caricatura di un uomo corpulento, con il tatuaggio della bandiera confederata sul braccio e sulla testa un cappello arrecante lo slogan “Make America Great Again”, che ha accompagnato la corsa di Donald Trump verso la Casa Bianca. In un’altra versione del manifesto, trincerata dietro un divieto c'era una donna che teneva stretta in mano una Bibbia. Anche sul capo di quest’ultima – immancabile – il berretto di sostegno al presidente degli Stati Uniti. Non è un caso che per stigmatizzare i sostenitori di Trump (senza provocare l'indignazione dei sacerdoti del politicamente corretto), l’autore dell’opera abbia usato il termine “trash”. Per alcuni americani che frequentano i salotti dell’elite progressista, i “white trash” sono quei bianchi considerati di bassa estrazione sociale e poco istruiti, fieramente cristiani e per nulla inclini ad accettare supinamente lo sradicamento delle proprie tradizioni. Tenuti per anni ai margini del dibattito pubblico, i “white trash” – molto più diffusi nei piccoli centri degli Stati del Sud che non nelle metropoli – sono entrati nel mirino dopo le ultime presidenziali. Alla loro mobilitazione elettorale viene attribuita la vittoria di Trump, un vero e proprio cambio di paradigma che ha sconvolto i piani dell’establishment. Ma il sentore che qualcosa di nuovo stesse per accadere, in America, si era avvertito già nel settembre 2016. Evidentemente tesa, la candidata del ghota progressista, Hillary Clinton, durante un comizio elettorale definì la metà degli elettori del suo avversario Trump “un branco di miserabili”.

Ora che quei “miserabili” sono stati protagonisti alle urne (Oltreoceano sì, ma anche Oltremanica, dove la Brexit viene considerata la vittoria del volgo elettorale, e pure in Italia, con l’ascesa dei “populisti” di Lega e M5s), si percepisce un'insofferenza più profonda e, in qualche modo, foriera di novità. Ecco allora riaffiorare la tentazione dell’epistocrazia, ovvero un ritorno al suffragio limitato per livello di istruzione. A farsene portavoce, negli Stati Uniti, una certa Dambisa Moyo, economista di origine africana. “L’idea – spiega a Vanity Fair – è che gli elettori vengano chiamati a mostrare il loro impegno per la politica e le elezioni. Se dimostrano di essere informati, allora il loro voto vale appieno. Se invece dimostrano di non esserlo, varrà leggermente meno”. Lei ritiene che non ci sia nulla di discriminatorio, ma è lecito avere più di qualche dubbio in proposito. In filigrana, dietro questa suggestione, si intravede un malcelato classismo: informarsi in modo dettagliato, del resto, implica anche un costo economico che non tutti possono sostenere e del tempo che non tutti hanno a disposizione. E poi essere istruiti non equivale necessariamente ad avere una propensione al bene comune. Ed ancora, confinare ai margini della vita politica i meno informati significa avere un’idea di comunità ristretta e selettiva, che amplia ulteriormente la forbice culturale e, dunque, il distacco tra popolo ed elite. Forse ai sostenitori dell’epistocrazia non è ancora chiaro che è proprio tale distacco che ha generato il voto di protesta, il desiderio di rivoluzionare uno status quo percepito dai più come illusorio ed iniquo. Con la globalizzazione sono nati ristretti circuiti che detengono il potere economico, politico e mediatico. Secondo un rapporto Oxfam, l’1 per cento della popolazione si spartisce l’82 per cento della ricchezza mondiale. Va sottolineato che tanti paperoni di questa ristretta cerchia è su posizioni liberal. Come stupirsi allora che ci sia stata una reazione? C'è da chiedersi, ora, se l’epistocrazia non sia la clava che si vuol usare per distruggere questo dissenso. Dopo che per anni dai pulpiti del progressismo sono giunte prediche sull’importanza del concetto di eguaglianza, oggi arrivano inopinate saette contro il suffragio universale. Quando vota per le elite il popolo è sovrano, altrimenti è “miserabile”. Oppure trash.

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