È in uscita il nuovo libro di don Francesco Voltaggio intitolato “Alle sorgenti della fede in Terra Santa. Attesa, Avvento, Natale del Messia”. Dopo il volume dedicato alle feste ebraiche, Voltaggio ci accompagna in un affascinante viaggio nel tempo per tornare all’anno zero del cristianesimo. Siamo nell’epoca del “Secondo tempio” quando a Nazareth una donna ebrea riceverà un messaggio che stravolgerà la vita degli uomini. Chi era quella donna ebrea? come visse la sua fede? Come la trasmise a quel figlio così “speciale”? Che cosa significa che Israele aspettava il Messia? E che tipo di Messia attendeva? Cosa sappiamo di Nazareth e di Betlemme al tempo di Gesù? Rispondere a queste e altre domande è lo scopo del nuovo libro di don Francesco Voltaggio, sacerdote della diocesi di Roma che da molti anni svolge la sua missione Terra Santa come rettore del seminario missionario Redemptoris Mater della Galilea e professore di esegesi biblica. Esperto di lingua, letteratura e archeologia semitica Voltaggio ha potuto attingere alla ricchezza di tutte le fonti (storiche, letterarie e archeologiche) a sua disposizione per ricostruire l'ambiente originario a'interno del quale si è incarnato Nostro Signore Gesù Cristo, “l'humus vitale in cui è fiorita la nostra salvezza”. La collana “Alle sorgenti della fede in Terra Santa” (Cantagalli-Chirico) è frutto di un programma radiofonico andato in onda su Radio Maria dal 2014 al 2017. Dopo il primo volume sulle feste ebraiche ecco ora un secondo libro dedicato all'Avvento e al Natale del Messia.
Una fede incarnata geograficamente
“La fede cristiana è tutta fondata sulla notizia di un fatto storico realmente avvenuto”. Il cristianesimo non è infatti una filosofia e neanche la “religione del libro”, come è stata erroneamente definita 1 . Il centro del cristianesimo è un evento accaduto in un determinato periodo storico e in un luogo preciso, all'interno di un popolo concreto. La nostra fede poggia dunque su una storia e una geografia che meritano essere sempre più conosciute e approfondite, come un “tesoro da riscoprire incessantemente”. Queste coordinate ci vengono trasmesse dagli Evangelisti che inquadrano gli eventi del Natale nel loro contesto storico e geografico. All'inizio del suo Vangelo (Lc 2,1-2) l’evangelista Luca nomina l'imperatore Cesare Augusto e il governatore della Siria Pubblio Sulpicio Quirinio (Lc 2,1-2). L’evangelista Matteo afferma che la nascita di Gesù avvenne “Al tempo del re Erode” (Mt 2,1) ed inaugura il suo racconto (Mt 1,1-17) con la dettagliata genealogia di Gesù, a partire dal patriarca Abramo. La genealogia non è un freddo elenco di nomi ma rappresenta essa stessa una Buona Notizia: è la prova che Dio è entrato nella storia di un popolo concreto, un popolo ferito, sconfitto ed esiliato: Israele. Allo stesso tempo indica che il Messia riassume, ricapitola e rappresenta in sé l'intero popolo, a partire dai patriarchi. In lui si compiono e si realizzano le promesse fatte ai padri. Da un popolo fatto da uomini e donne peccatori e deboli (nessuna delle quattro donne citate “meriterebbe” per santità e purezza di vita di appartenere alla genealogia di Gesù) sorge l'atteso Messia. 1 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 108: “La fede cristiana tuttavia non è una 'religione del Libro'. Il cristianesimo è la religione della 'Parola' di Dio: di una Parola cioè che non è 'una parola scritta e muta, ma il Verbo incarnato e vivente'”.
Miriam di Nazareth, figlia di Israele
La Vergine Maria fu una giovane ragazza di Nazareth cresciuta nel seno della tradizione ebraica avendo come modello le “madri” di Israele Sara, Rebecca, Lia e Rachele, mogli dei patriarchi; ha ricevuto la fede nella sua famiglia da Gioacchino e Anna attraverso le preghiere domestiche, la recita quotidiana dello Shemá Israel, l'ascolto della Torah in Sinagoga, i pellegrinaggi e le liturgie delle feste ebraiche. Come tutte le donne ebree, Maria visse l’attesa del Messia desiderando nel suo cuore essere considerata degna di divenirne la madre. Maria ha, a sua volta, trasmesso la fede al figlio Gesù secondo i costumi religiosi del tempo. Il canto del Magnificat che racconta l’esaltazione del povero e dell’umile, ci mostra che la storia (e la geografia) della nostra salvezza, inaugurata da questa donna ebrea, non si è interrotta con l'incarnazione di Gesù Cristo. Anche a noi – che sperimentiamo la nostra povertà e miseria – è rivolto l’annuncio dell’Angelo che ci invita ad accogliere il Messia nella nostra vita. Col nostro “fiat” possiamo diventare quella terra buona dove Gesù nasce e cresce. “Come Maria anche noi per la grazia possiamo divenire luogo santo e Terra Santa” (p. 57).
Gesù: il Messia “senza letto”; e “senza spada”
Al tempo di Gesù il popolo di Israele, oppresso dai romani, attendeva con vivo desiderio l'avvento del Messia che i profeti avevano annunciato. Ma nessuno sapeva con precisione quali connotati avrebbero caratterizzato la venuta del liberatore inviato da Dio. Le profezie offrivano spunti per riconoscere i segni del Messia ma le concezioni messianiche erano varie e diversificate. Quarant'anni prima di Cristo persino il poeta Virgilio (quarta egloga) parlava di una nuova età dell'oro che sarebbe stata inaugurata dal ritorno di una Vergine e dalla nascita di un bambino speciale, che avrebbe fatto cessare le guerre e morire i serpenti; un bambino – afferma il sommo poeta – che troverà una cattiva accoglienza, un “bambino senza letto”. Una “profezia”, quella di Virgilio, che ha sorprendenti contatti con quella di Isaia (Is 11). Secondo il Talmud il Messia è una delle sette realtà create prima ancora dell'universo. Ma la sua identità resta tutt'oggi un mistero per Israele. L'unica cosa certa è che il Messia verrà all'improvviso e bisognerà essere pronti ad accoglierlo. Ma cosa significa che sarà un “Principe di Pace” (Sar Shalom)? Che tipo di pace porterà? Sarà uno zelota oppure un sacerdote? Porterà la spada o dovrà soffrire? Sarà un rivoluzionario oppure porterà un messaggio puramente spirituale?
Il vero rivoluzionario in mezzo a molti pseudo-messia
Secondo le testimonianze di Giuseppe Flavio le principali correnti religiose in Israele all'epoca del secondo tempio erano quattro: farisei, sadducei, esseni e zeloti (gruppo fortemente radicato in Galilea). Questa diversificazione dell'ebraismo non favoriva una lettura univoca dell'avvento del Messia, ma tutti i gruppi religiosi erano accomunati dall'attesa impaziente della salvezza attraverso un profeta prescelto e unto da Dio. Gesù di Nazareth rappresentò per tutti una grande sorpresa perché non soddisfaceva le aspettative messianiche di molti israeliti. Il suo messaggio fu realmente rivoluzionario quando chiese ai suoi di deporre le armi e ogni rivendicazione violenta contro gli occupanti romani e di amare i propri nemici. L’ambiente in cui visse Gesù pullulava di rancore e di ansie di liberazione politica: numerosi zeloti si autoproclamavano “re dei giudei” e guide rivoluzionarie del popolo contro il giogo dell'invasore, seminando terrore e invitando alla ribellione violenta e a non pagare i tributi imposti; Gesù rifiutò di venire incoronato re 2 e chiese di “dare a Cesare quel che è di Cesare” 3 . Diversamente da tanti pseudo-messia, Gesù disattese le aspettative politiche di chi attendeva un Messia trionfante. Egli incarnò quella figura umile e sofferente profetizzata da Isaia entrando nel mondo silenziosamente, sperimentando l'umiliazione e il rifiuto da parte dei suoi, la sua vita rappresentò un eclatante fallimento agli occhi dei suoi contemporanei. Tutto questo perché “Gesù è venuto non per schiacciare i peccatori, come fra alcuni gruppi ebraici si riteneva avrebbe dovuto fare il messia, bensì per prendere su di sé il peccato del mondo. Questo è qualcosa di veramente rivoluzionario (p. 103).
La Kenosis di Dio fino al letame di Betlemme
All’epoca del Secondo Tempio Nàzareth era un piccolissimo villaggio ai margini dell'Impero Romano. È in questo luogo che il Verbo si incarnò, ma è a Betlemme (in ebraico Bet-lehem, “casa del pane” e in arabo Bet-lahm “casa della carne”) che Dio si fece “carne” nascendo in una “mangiatoia” (cfr. p. 191). Gesù, definito “Principe di Pace”, nasce ai tempi dell'imperatore Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto acclamato dagli storici romani come “principe di pace” (p. 208), che inaugura la “pax augustea” nel mondo… Al di la dei sentimenti che suscita in noi la rappresentazione del presepe, con quel notevole carico nostalgico di tenerezza e di pathos, la (vera) mangiatoia fu tutt’altro che un paesaggio romantico: Gesù nacque in “un luogo che suscita ribrezzo” (p. 232), luogo inospitale, sporco e maleodorante e dunque ripugnante. Ma è proprio in questo luogo che Dio, nel suo folle amore, ha deciso di incontrare l'uomo. È questo il grande paradosso del Natale dove “è già presente in nuce tutto il mistero del Messia, compreso il rifiuto che dovrà subire” (p. 213). La nascita di Gesù nella stalla di Betlemme rappresenta per noi una Buona Notizia: quel luogo fetido e lurido ha permesso a noi l'incontro col Salvatore del mondo e Principe diù Pace. Betlemme ci apre le porte del Paradiso che furono chiuse a causa del peccato di Adamo e ci permette di accedere alla gloria di Dio. San Girolamo – che visse per 35 anni a Betlemme – afferma: “[Gesù] non è nato in mezzo a oro e ricchezze, bensì in mezzo al letame, in una stalla, poiché i nostri peccati erano piùù sporchi del letame” (cit. a p. 225). Betlemme siamo noi, tutti noi possiamo, nonostante i nostri peccati che continuamente ci insudiciano, accogliere la venuta del Messia nelle nostre vite. È per questo che il racconto della nascita di Gesù è un Kerygma per la vita di ogni uomo: a Bet-lehem (casa del pane) ci viene offerto il Pane di vita (“Io sono il pane della vita…” Gv 6,35), l'unico pane che sazia la nostra fame di bene e di eternità.