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La piaga infetta nelle campagne italiane

Il caporalato continua ad essere una piaga infetta nelle nostre campagne. La conferma arriva, dal rapporto dell’Ispettorato nazionale del lavoro che descrive un quadro allarmante: 39 arresti, 139 denunce a piede libero, un incremento del 182% delle denunce penali rispetto al 2018, e 2400 posizioni lavorative irregolari rilevate, la metà delle quali totalmente in nero. Vero è che gli arresti in Italia certificati dall’Inail aumentano ma ci testimoniano che il fenomeno non si ferma. Come la Cisl denuncia da anni, la Legge 199, conquistata grazie alla mobilitazione del sindacato nel 2016, funziona solo a metà, smuovendo qualcosa nell’intreccio criminale dello sfruttamento di manodopera in nero. All'appello manca l'applicazione della restante parte, quella della prevenzione e della valorizzazione del presidio sociale. Dalle colonne di In Terris proprio un anno fa lanciavamo un appello per l’adesione alla “Rete del lavoro agricolo di qualità” per arginare l’economia illegale che ruota attorno al comparto regolare che, nella sola Puglia, conta circa 79 mila aziende, censite e conformi, e 185 mila lavoratori. Si tratta di una fetta importante e consolidata del Prodotto interno lordo regionale, indispensabile per la crescita e la buona occupazione.

Qualcosa si è mosso da allora ma i protocolli d’intesa siglati tra sindacati di categoria di Cgil, Cisl, Uil e le maggiori associazioni di rappresentanza delle imprese agricole con le Prefetture di Taranto, Lecce e Foggia non sempre hanno prodotto sul territorio quanto si proponevano. Stentano ancora a decollare i tre assi portanti del contrasto al caporalato oltre alla repressione e ai controlli: intermediazione, trasporti e alloggi. Solo piccoli passi verso una soluzione definitiva contro lo sfruttamento di queste persone che sono disposte a lavorare giornate intere, sotto il sole, accontentandosi di pochi euro all’ora. Bisogna fare di più.

La Cisl ha sempre insistito sulla necessità di dialogo tra tutte le Istituzioni competenti, regionali e locali, e tra sindacati e imprese, che vada oltre le intese siglate dando gambe a quelle pagine dei protocolli anche attraverso le Cabine di Regia. Tanto si deve ancora fare, per esempio, sul fronte degli alloggi e dei trasporti. Ci sono realtà pugliesi in cui i finanziamenti messi a disposizione delle aziende per l’utilizzo di pullman che accompagnino i lavoratori nei campi, rimangono nelle casse dell’ente promotore. Se solo si fosse dato seguito al servizio di trasporto organizzato non avremmo dovuto piangere, lo scorso anno, 16 braccianti morti in due differenti incidenti a distanza di pochi giorni. La lotta al caporalato passa anche dall’arginare quel sistema criminale che sfrutta il contesto di degrado e marginalità sociale in cui si trovano spesso i lavoratori stagionali. Altro capitolo che la Cisl ha evidenziato è quello degli alloggi. Più si metteranno in pratica le dichiarazioni che a vario titolo vengono rilasciate dopo che nei ghetti accadono incidenti, incendi e risse e più sarà possibile chiudere questi assembramenti di umanità tra le cui baracche si annida il caporale o l’intermediario del caporale. Più foresterie e meno ghetti. Anche la Regione Puglia potrebbe fare di più: nel 2017 nel 2018 abbiamo avuto solo due interlocuzioni attorno ad un tavolo regionale. È troppo poco, dalla Regione Puglia ci aspetteremmo una attività di coordinamento più serrata. Il caporalato si sconfigge anche e soprattutto con decisioni politiche condivise con gli attori principali del mondo agricolo, con una più incisiva azione contrattuale che metta al centro e valorizzi il legame che, soprattutto in agricoltura, unisce qualità del lavoro, innovazione e competitività.

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