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Nomine, ancora un nulla di fatto a Bruxelles

Fumata nera numero due a Bruxelles, dove la partita sulle nomine vede ancora rimandato il suo verdetto senza che, almeno per ora, vi sia la sensazione di essere un passo più vicini alla risoluzione dell'ingarbugliata matassa. Inutili, per adesso, le 18 ore di trattative e i bilaterali chiamati dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, per tentare di risolvere lo stallo perlomeno sul nome di Frans Timmermans al ruolo di leader della Commissione europea. Nulla di fatto: sul politico olandese non c'è accordo, così come alcuni dei principali leader restano fermi sul “no” al tedesco Manfred Weber, candidato dei Popolari malvisto da Emmanuel Macron e, di fatto, fuori dai giochi nonostante il successo alle Europee ottenuto dal gruppo. A proposito di Macron, il nuovo stop imposto da Tusk, a fronte di una discussione che, ormai era chiaro, non avrebbe avuto nessun esito, non esita a definirlo un fallimento: “Non è stato trovato un accordo e credo che abbiamo dato un'immagine molto negativa dell'Europa. Non si può essere ostaggio di piccoli gruppi”. Critica, anche se con toni più soft, anche Angela Merkel: “Non siamo andati al voto perché nessun candidato avrebbe avuto la maggioranza. E un margine troppo stretto avrebbe comportato problemi futuri”.

La posizione italiana

In realtà, il giro che avrebbe dovuto portare Timmermans nel ruolo cardine dell'Ue era alquanto complicato: nome uscito fuori a Osaka, il politico socialista olandese rientrava in un pacchetto di nomine che prevedeva un liberale al posto di Tusk, con il belga Charles Michel come nome forte, e un'altra donna al posto di Federica Mogherini come Alto rappresentante per la politica estera (Mariya Gabriel, bulgara), dirottando Weber alla guida dell'Europarlamento, soluzione respinta dai popolari. Alla fine, nemmeno il mescolamento delle nomine (stessi nomi, cariche diverse) hanno convinto tutti i Paesi membri: al momento pare siano in 11 a essersi opposti e, fra questi, ci sarebbe anche l'Italia. Dell'opposizione del nostro Paese ha parlato lo stesso premier Giuseppe Conte, spiegando che “il pacchetto precostituito di Osaka mi ha lasciato molto perplesso insieme a dieci-undici Paesi” e che, per questo, “abbiamo opposto un'obiezione”. Una scelta, quella italiana, che la schiera al fianco dei quattro Stati del gruppo di Visegrad ma, al di là degli attori in campo, a non convincere il premier sembra esser stata più la strategia adottata che il piano in sé: “Ora cerchiamo soluzioni alternative ma non potevamo accettare questo pacchetto perché nato fuori dal mandato che era stato dato a Donald Tusk. Per noi è una questione di metodo”. Appuntamento dunque a domani per il terzo round, nello stesso giorno in cui a Strasburgo si riunisce l'Europarlamento (che però non eleggerà il suo presidente) e in cui si sarebbe dovuto decidere (dalla riunione dei commissari) sulla procedura d'infrazione a carico dell'Italia. Decisione rinviata perché, ora come ora, per l'Europa le questioni impellenti sono altre.

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