Recuperare 12,6 miliardi di dollari da Joaquin Guzman, detto “El Chapo”, ex re dei narcos attualmente ancora in attesa del pronunciamento defenitivo a suo carico, previsto per il 17 luglio e già pronosticato come ergastolo: questo quanto richiesto dalla Procura di Brooklyn a un giudice, per costringere il criminale messicano a restituire una somma (pari a 11,2 miliardi di euro) che, secondo i pm, equivarrebbe ai proventi del traffico di droga derivati dal suo cartello. Una richiesta che, come spiegato dai media americani, si baserebbe sulle numerose testimonianze raccolte dai fornitori di stupefacenti, ottenute durante il processo che ha già condannato l'ex boss nel febbraio scorso, per i reati di omicidio e, appunto, traffico di droga, per un totale di 10 capi d'accusa.
La vicenda
Secondo quanto ipotizzato dall'accusa, nei suoi oltre 25 anni a capo del cartello messicano di Sinaloa, uno dei maggiori legati al mondo dei narcos, Guzman avrebbe guadagnato complessivamente 11,8 miliardi di dollari con il traffico di cocaina, 846 milioni con la marijuana e 11 milioni vendendo eroina, denaro poi riciclato attraverso il pagamento di lavoratori e fornitori, oltre che per l'acquisto di beni materiali che, alla fine, hanno portato El Chapo a disporre di una vera e propria fortuna sia in denaro che in proprietà. Al momento del suo fermo, Guzman è stato trovato in possesso di un'intera flotta aerea, oltre che di vetture, strumenti di comunicazone e addirittura sottomarini, tutti beni che avrebbe acquistato tramite le sue attività illecite. Contestazioni fatte subito dopo l'estradizione avvenuta nel 2017 a fronte dell'arresto operato nel gennaio 2016, nella località di Los Mochis, nel Sinaloa, dove Guzman conduceva la sua vita nel lusso, che tentò di difendere prima a colpi di pistola e poi con un disperato tentativo di fuga, fallito.
Carcere duro
La difesa del 62enne, oltre a contestare la mancata identificazione dei 12,6 miliardi per i quali è stata richiesta la confisca, ha puntato sulle condizioni vissute in carcere dal suo assistito, definendole “crudeli e insolite”, in particolar modo riferendosi al regime di isolamente vissuto all'interno del Metropolitan correctional Center di Manhattan, dov'è rinchiuso da 29 mesi. Secondo il suo avvocato, la luce nella cella sempre accesa provocherebbe condizioni da “privazione di sonno”, mentre la detenzione in una cella senza finestre e la mancanza di accesso alla luce solare avrebbe iniziato a provocare traumi psicologici. Contestazioni contenute in una lettera inviata al giudice Brian Cogan, del Distretto orientale di New York, nella quale vengono avanzate peraltro alcune richieste, come due ore di esercizio all'aperto. Richieste che, a ogni modo, sarebbero state per ora respinte dai magistrati.