Ci vorrà ancora qualche ora per capire se la strada giallorossa sia destinata o meno a funzionare. A Palazzo Chigi, infatti, si è conclusa la seconda tranche di colloqui fra Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti, quelli annunciati qualora ci fossero state novità nelle trattative nella ricerca dell'intesa per un possibile governo Pd-M5s. Al vertice sono stati presenti anche il premier uscente Giuseppe Conte, tornato in anticipo dal G7 di Biarritz proprio per partecipare al colloquio, e l'ex ministro della Giustizia Andrea Orlando. E dagli uffici di Piazza Colonna filtravano inizialmente sentori positivi, specie dopo il mini-vertice andato in scena fra Di Maio e Zingaretti nel pomeriggio: “Credo che siamo sulla strada giusta. Avevamo chiesto che si partisse su idee e contenuti e stasera continueremo ad approfondire, sono ottimista: è partito il confronto per dare al Paese un governo di svolta”. All'uscita da Palazzo Chigi, però, i dem tirano le somme mutando in buona parte il quadro: “Siamo al lavoro, ma c'è ancora molto da fare su contenuti e programmi. E non c'è ancora il via libera a Conte. La strada è in salita, differenza di vedute sulla manovra”.
La giornata
Le incognite che accompagnavano le trattative tra i due schieramenti erano tante, alcune intricate al punto da sembrare di difficile soluzione, specialmente per quanto riguarda il nome del premier. Nulla che abbia scoraggiato le parti, soprattutto quella dem, che a dama vuole arrivarci nonostante sul lato pentastellato stia iniziando a manifestarsi qualche sgnale di insofferenza. Perché il Pd continuava a chiedere la discontinuità come requisito necessario per trovare la quadra, i Cinque stelle insistevano sul nome di Giuseppe Conte come profilo ideale a ricoprire il ruolo di presidente del Consiglio, facendo gridare la controparte al rimpastone. Anche qui, però, resta qualche segnale di apertura che, nonostante i dubbi di Zingaretti sulla volontà reale di Di Maio di proseguire questi colloqui, potrebbe rappresentare una via d'uscita per far felici tutti.
La possibile via d'uscita
La soluzione che il Pd vorrebbe adottare riguarda lo smistamento dei ministeri: ok al Conte-bis a patto che al Nazareno finiscano un paio dei dicasteri maggiori (probabilmente Economia e Giustizia). Il modo, forse, per dare senso concreto alle parole di Zingaretti, per il quale serve “un programma condiviso e non due programmi paralleli“. Gli appelli rinnovati all'ascolto vicendevole e al trovare il punto di contatto fra le due visioni, ancora divergenti, su ciò che serve davvero all'Italia, parlano di un segretario dem che continua a nutrire ottimismo nonostante gli evidenti punti di frizione, tanto da arrivare a dire che “si può trovare una soluzione seria” per sciogliere l'impasse. Il che, in sostanza, significa anche qualche concessione di rimando: qualora ai dem andassero i due ministeri economici (sul tavolo potrebbe esserci anche lo Sviluppo economico, non solo il Mef) e la Giustizia (per il quale si profila il ritorno di Andrea Orlando), i pentastellati potrebbero riconfermare qualche nome (Trenta, Costa e Grillo), fra i quali sembra ritornare in auge addirittura quello di Luigi Di Maio, anche se non in un ministero chiave. Al Viminale, invece, potrebbe finire un nome terzo.