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Ecco perché ogni città ha un santo protettore

Ogni città ha un patrono. Sembra una manifestazione di mero campanilismo, in realtà ha ragioni storiche e teologiche antichissime, inestricabilmente ancorate alla pietà  popolare e alla devozione verso i santi protettori. Pontefici, cardinali e vescovi dedicano da secoli omelie appassionate, autentiche perle di dottrina ai profili di santità che uniscono gli abitanti di un determinato luogo al loro “ponte con il Cielo”. La fotografa statunitense Elizabeth Harper ha fotografato a Roma le reliquie cattoliche più sconosciute della città per compito del Morbid Anatomy Museum di New York. “Tra queste, ha dedicato un'attenzione particolare ai corpi incorrotti dei santi cattolici conservati dietro teche di vetro in alcune delle principali chiese della città”, scrive Mattia Salvia su Vice.

Sottomissione totale a Dio

“Nella liturgia cattolica il patrono è il santo o la santa che una regione, diocesi, città, comunità religiosa o altro gruppo di fedeli onora con speciale culto quale particolare intercessore e protettore presso Dio – sintetizza Treccani.it. “Il patrono è un santo alla quale la Chiesa affida la protezione e l'accompagnamento di una certa categoria di fedeli: coloro che vivono in una determinata città o area geografica, coloro che esercitano un certo mestiere, svolgono una certa attività o hanno altre caratteristiche in comune”, specifica l’enciclopedia cattolica Cathopedia-. Nell’antica Roma la devozione era l’offerta agli dei di persone o cose determinate, come vittime, per allontanare un pericolo dalla comunità. Nel cristianesimo è la sottomissione totale a Dio”.

Memoria di radici condivise

Il cardinale portoghese Josè Saraiva Martins, prefetto emerito della congregazione per le Cause dei santi il generalizzato attaccamento dei fedeli ai “loro” santi. “Grazie a questa intercessione possono rallegrarsi che anche i loro nomi sono scritti nei cieli – spiega il porporato -. Gesù invita i suoi discepoli a rallegrarsi non tanto per le opere compiute, ma per il servizio reso alla causa del Vangelo. Li aveva inviati “a due a due”, in una situazione di inferiorità e di poca visibilità”. I patroni, quindi, come testimoni della vicinanza di Cristo nella vita quotidiana, perciò “siamo figli di santi, possiamo oggi ripetere orgogliosamente”. L’intercessione dei santi patroni, dunque, come segno di unità e convivenza pacifica, oltreché memoria di radici culturali e religiose condivise da una popolazione attraverso le generazioni. “Genius loci” della fede.

Speciale venerazione

Comunemente la devozione è il sentimento di speciale venerazione e fiducia che si ha verso un mistero religioso o una persona con culto religioso, per esempio alla Passione del Redentore, al Sacro Cuore di Gesù, alla Beata Vergine, a sant’Antonio. In senso più stretto, secondo la definizione dell’Enciclopedia italiana, la devozione è il rivolgersi affettuoso e riverente dell’anima a Dio, con l’amore e il rispetto che riconosce essergli dovuti, e la riverenza stessa, il raccoglimento della mente e dello spirito, la compostezza negli atti che il colloquio con Dio impone.

Il reliquiario d’oro

“Vengo da una famiglia di immigrati italiani, per cui sono cresciuta a stretto contatto con la Chiesa Cattolica – spiega la fotografa Elizabeth Harper a Vice -. Ricordo ancora la prima volta che ho visto una reliquia di una santo. Non capita molto spesso di vederne una negli Stati Uniti. Era piuttosto grande, credo fosse un pezzo di fegato di un santo. Il prete della nostra chiesa stava in piedi sul sagrato e teneva in alto il reliquiario d'oro perché tutti i fedeli lo potessero vedere. Avrò avuto nove anni, e quello è stato il mio primo contatto con il sublime. Ho visto il fegato di quel santo, ho pensato al mio fegato e per la prima volta nella mia vita ho pensato a quello che mi sarebbe successo dopo che fossi morta”. Un fascino per i corpi incorrotti dei santi. “Mi piace molto fotografarli perché hanno qualcosa di inquietante – precisa Harper a Vice -. Amo la loro immobilità, la loro monumentale simmetria, l'intimità e la vulnerabilità dei loro volti che sembrano quasi addormentati. Mi piacciono soprattutto quelli conservati sotto bare di vetro, che sembrano usciti da una favola. È come se fossero testardi, come se non gli importasse nulla della società moderna, perché nonostante tutto loro sono ancora lì. Vederli mi dà una sensazione particolare, perché che tu creda o meno nella loro santità sei costretto ad ammettere che anche quando di te non sarà rimasta che polvere loro saranno ancora lì, integri”.

Il putridarium

Harper racconta a Vice di non aver mai capito l'ossessione americana per gli zombi, finché non si è  ritrovata in un putridarium. All'interno di una chiesa, un putridarium è una cripta particolare in cui i corpi venivano lasciati a imputridire all'interno di apposite nicchie. Una volta che ne erano rimaste solo le ossa, queste venivano sepolte. “Il putridarium era collegato al concetto di purgatorio, era il luogo dove i corpi si liberavano della carne, così come l'anima in purgatorio si libera dei suoi peccati – puntualizza -. Quando non rimaneva che lo scheletro, il morto era considerato finalmente in pace e quindi in paradiso. Ho capito che quando pensiamo a un corpo in decomposizione – e quindi, quando pensiamo al concetto di zombi – in realtà stiamo pensando al purgatorio. Non è che un'altra rappresentazione del concetto di purgatorio. Essere uno zombie vuol dire essere intrappolato lì, ed è una cosa che ci fa paura. È il motivo per cui gli zombie ci fanno più paura degli scheletri, e il motivo per cui ad Halloween i bambini si vestono da scheletri ma non da zombie. Abbiamo tutti paura di ritrovarci, dopo la morte, bloccati in un luogo di passaggio. E troviamo sempre nuovi modi per esprimere questa paura”. Ma la cosa più importante che la fotografa ha imparato l'ha detta Ugo Foscolo molto tempo fa: “Le urne degli uomini forti stimolano le menti degli uomini a compire grandi cose, e rendono sacra per il pellegrino la terra che le ospita.”

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