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Rating e downgrade? Facciamo chiarezza…

Sono passate solo alcune settimane dalla conferma del rating BBB, pur con outlook negativo, da parte di Fitch all’Italia che già si guarda al prossimo appuntamento di revisione del giudizio di solvibilità da parte delle altre due principali agenzie mondiali, Moody’s e Standard&Poor’s. I primi di settembre dovrebbe esprimersi Moody’s, infatti, per essere seguita poi da Standard&Poor’s a ottobre che però, ha già annotato che “l’Italia sia l’unico paese sovrano dell’Eurozona con outlook negativo” al termine dell’ultimo report. Questa affermazione indica che secondo quest’ultima le prospettive di stabilità del debito siano in deterioramento e che il giudizio possa essere visto al ribasso nelle analisi successive. Al momento lo Stivale, volendo considerare solo le principali agenzie di rating al mondo, ha giudizi a BBB da Fitch e Standard&Poor’s, con outlook negativo, Baa3 (che l’ultimo livello prima del settore “junk”, spazzatura, che indica i titoli speculativi) da parte di Moody’s e BBBH (cioè BBB high, il primo livello sotto la A) da parte di DBRS, entrambe però con outlook stabile. Difficilmente il giudizio di Moody’s sarà toccato quindi, viste le premesse, un po’ più di preoccupazione la potrebbe suscitare S&P poiché parte da un giudizio negativo sui tendenziali. Sicuramente leggendo queste affermazioni a molti salterebbero in mente alcune domande su concetti che, fin troppo spesso, sui giornali sono dati per scontati e acquisiti da tutti.

Cos’è un’agenzia di rating? Questa è una società, il cui fine ultimo è e resta il profitto per la remunerazione degli azionisti (cosa da non scordare), che analizza la solvibilità degli enti emettitori di titoli di debito e assegna un giudizio (rating) basato su una scala predeterminata e non fraintendibile che va a indicare il livello di sicurezza di un’obbligazione per l’investitore. In pratica il rating è un primo indicatore sulla capacità di rimborso dei debiti contratti sul mercato dell’emettitore dei bond e null’altro. Il rating, infatti, non indica la redditività potenziale dell’investimento, anche se esiste una correlazione inversa tra giudizio e redditività in quanto i titoli più “sicuri” sono caratterizzati da remunerazioni all’investimento più contenute o, addirittura, negative mentre i titoli meno “sicuri” sono obbligati a pagare dei tassi di interesse ben più sostenuti per compensare il rischio di riduzione o perdita del capitale che gli investitori si accollano. 

Ma cosa comporterebbe un ribasso (downgrade) del rating alla fine? Un downgrade, in generale, va a impattare direttamente sul rendimento dei titoli obbligazionari emessi, spingendo verso il baso i prezzi e verso l’altro i tassi d’interesse riconosciuti. Nel caso dei titoli sovrani, poi, le dinamiche sono particolari poiché la caduta dei prezzi e l’aumento delle rese non impatta direttamente sul livello del debito pregresso né sul suo costo per gli stati ma può condizionare le emissioni seguenti costringendo a riconoscere tassi d’interesse più elevati in fase d’asta per permettere la sottoscrizione complessiva del bond in emissione.

In Italia la questione è balzata agli onori di cronaca nel 2011, quando il termine spread è entrato nell’uso comune. La rischiosità dei titoli europei, solitamente, viene misurata valutando il differenziale tra la media dei rendimenti dei titoli a scadenza decennale ancora in essere sull’equivalente emesso dalla Germania, considerata a torto o a ragione l’emettitore più sicuro di titoli di debito. In quell’anno – state la crisi economica perdurante da tempo e le tensioni esistenti nel governo Berlusconi, nonché certi movimenti sospetti di mercato occorre sottolineare – questo parametro schizzò alle stelle mettendo in pericolo la sostenibilità stessa del debito pubblico italiano, che è uno dei più elevati al mondo in termini sia assoluti che relativi, per le possibili ripercussioni sulle future emissioni di rifinanziamento. La storia seguente è nota, ovviamente, con la caduta del governo, la nomina di un governo tecnico che, pur cercando di mettere in sicurezza le finanze pubbliche, aggravò la crisi economica con i suoi provvedimenti portando il paese in recessione e, ironicamente, ad ampliare ulteriormente il rapporto debito/PIL che rappresenta il principale indicatore di sostenibilità dei conti dello stato.

Oggi, però, valutando lo scenario attuale, credibilmente, un downgrade di S&P non dovrebbe avere grandi ripercussioni poiché il giudizio sulla solvibilità del debito italiano resterebbe ancora all’interno di quell’area comunemente detta di “investment grade”, quindi come titolo non speculativo, per tutte le principali agenzie al mondo. Finché almeno un rating rimanesse nell’investment grade, infatti, non scatterebbe alcun obbligo di alleggerimento dei titoli in portafoglio agli investitori istituzionali né escluderebbe i bond italiani dai vari programmi monetari della BCE permettendo di mantenere anche lo spread sul bund a livelli accettabili e un livello di costo del debito piuttosto basso. Difficilmente le agenzie, infatti, si arrischierebbero ad attribuire dei giudizi negativi in assenza di veri e propri rischi di insolvenza anche perché negli anni passati già sono passate per delle turbolenze mediatiche che erano sfociate nell’inchiesta da parte della procura di Trani per manipolazione di mercato poi conclusasi in una bolla di sapone.

Il mercato in cui si muovono queste aziende, infatti, è basato sulla reputazione e, per questo, non è credibile che vi possano essere report influenzati da interessi esterni, l’oggettività delle analisi, per quanto questa sia possibile, è una condizione necessaria al mantenimento della propria credibilità di fronte agli operatori economici e base fondante del business, se questa cadesse cadrebbe anche la redditività venendo meno la richiesta di valutazioni e di analisi. Queste sono le ragioni per cui i rating siano così considerati ed è per questo che va ricordato, come indicato precedentemente, che il fine ultimo delle agenzie di rating sia il profitto, motivo per cui nessuna andrebbe a mettere a rischio la propria credibilità che è l’elemento chiave per la sostenibilità sul mercato dei suoi prodotti.

Detto questo, certamente, un downgrade avrebbe dei ritorni negativi sulla credibilità dei governanti e delle politiche economiche messe in atto ma, rimanendo al di fuori dell’insieme dei titoli speculativi, il giudizio sulle obbligazioni di stato mostrerebbe l’indicazione di una buona solidità patrimoniale del paese e la sua capacità di far fronte agli impegni contratti con gli investitori. Se l’azione, opinabile, del primo Governo Conte, caratterizzata da costosi provvedimenti come il Reddito di Cittadinanza e Quota 100 sulle pensioni finanziati principalmente a deficit, ha portato meramente a un outlook negativo da parte di Fitch è piuttosto prevedibile che anche il giudizio di S&P non sia toccato. Anche per queste ragioni la scadenza vicina del nuovo report dell’agenzia non è vissuta con troppa preoccupazione né dai media né dagli operatori economici che, invece, con la formazione del Governo Conte Bis parrebbe stiano migliorando le aspettative, forse per via di un esecutivo più equilibrato tra forze conservatrici dal lato della gestione della Cosa Pubblica e delle finanze di stato, come il PD, e forze populiste, come il M5S.

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