Una settimana complicata per Joe Biden, candidato alle primarie democratiche ma, dati alla mano, non più in pieno possesso della nomea di favorito che lo aveva accompagnato sia al momento della sua candidatura che dei primi sondaggi. L'ex vice di Obama, tuttavia, dopo essere uscito malconcio dai primi round di dibattito fra i principali dem, ha visto persino il sorpasso nei suoi confronti della rivale Elizabeth Warren nell'indice di gradimento, chiudendo poi in bellezza con una vicenda che sembra riguardarlo da vicino senza che, tuttavia, ne sia protagonista diretto. La questione ucraina, infatti, riemersa alcuni giorni fa dopo che il presidente Donald Trump aveva ammesso di aver parlato con il presidente Volodymyr Zelenskij proprio di Joe Biden, nel corso di una telefonata datata 25 luglio. Un'ammissione già di per sé rilevante, ancora di più se a questa si aggiunge quella dell'Intelligence americana che, poco prima, aveva segnalato (uniformandosi anche a numerose inchieste giornalistiche) le presunte pressioni del presidente su Kiev, affinché avviasse un'indagine sul figlio dell'ex vicepresidente, Hunter, a sua volta ex membro del consiglio di amministrazione di una società ucraina del gas.
La vicenda
Una rivelazione che, nonostante la campagna per le primarie in atto, ha improvvisamente ricompattato il fronte democratico, uniforme nel condannare le pressioni di Trump e nello schierarsi al fianco del candidato Biden, tanto da arrivare a ventilare nuovamente l'ipotesi dell'impeachment nei confronti del presidente. Il sospetto, infatti, è che il Tycoon abbia fatto leva sull'interferenza in un altro Paese per ostacolare la corsa verso la Casa Bianca del candidato, circostanza emersa proprio nel momento in cui i sondaggi hanno cominciato a veder scendere la caratura dell'ex vice-Obama. Va da sé che, al netto delle ipotesi in campo, la possibilità che un presidente impieghi una forza straniera per interfire sulle elezioni democratiche del proprio Paese solleverebbe uno dei più grandi scandali della storia americana. Anche la speaker della Camera, Nancy Pelosi, finora scettica sull'ipotesi di far appello alla messa in stato d'accusa del presidente, ora sembra più orientata a seguire questa strada, tanto da parlare di “una nuova possibile fase di indagine” a carico del suo operato.
Repubblicani perplessi
Una sorta di Ukrainegate che rimescola le carte in tavola a poco più di un anno dalle presidenziali americane. Trump, da parte sua, si è difeso specificando che la conversazione avuta con Zelenskij è stata trasparente e priva di contenuti inappropriati, tanto da star addirittura valutando la possibilità di pubblicarne la trascrizione, come peraltro richiesta da alcuni giorni sia da Joe Biden che dagli altri democratici. Da un punto di vista strettamente politico, la vicenda potrebbe giocare a favore dei dem e, nello specifico, del candidato Biden (specie nell'ottica di uno schieramento ancora alla ricerca di un vero e proprio leader dopo Barack Obama) anche se, al momento, l'attenzione resta puntata più che altro sulla ricerca dei reali contenuti della telefonata del 25 luglio. Del resto, sia su Joe che su Hunter Biden, ufficialmente non risultano illeciti connessia alla società ucraina in questione. A questo proposito, anche i repubblicani si sono dimostrati perplessi sulla vicenda, con il solo Mitt Romney a twittare che, a suo giudizio, “sarebbe estremamente preoccupante” se Trump facesse pressioni sull'Ucraina per indagare su Biden e che sarebbe “fondamentale che i fatti emergessero“. Come a dire che un chiarimento è necessario, più urgente di qualsiasi pratica di impeachment.