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“Affidamento e adozione solo nei casi di difficoltà”

Oggi, fuori dalla famiglia d’origine vivono 26.420 minori, quasi uno su mille minori, di cui14.020 in affidamento familiare, 12.400 in servizi residenziali. Nelle case famiglia c’è l’effetto fede. “Si respira il senso religioso e se ne gustano le conseguenze: pace, serenità, gioia, equilibrio. La casa famiglia è vera famiglia, con rapporti di tipo parentale. Chi viene accolto è amato. Si va oltre l’assistenza per essere condivisione. Qui si sperimenta che ci si salva assieme, poiché chi è accolto ha valori che chi accoglie non ha. Non gettiamo, per favore, nella spazzatura questi tesori di umanità, che sono la famiglia naturale, affidataria, adottiva e le vere case famiglia”, osserva Giovanni Paolo Ramonda.

Tutte le categorie della fragilità umana

Vita Pastorale, il mensile del Gruppo Editoriale San Paolo diretto da don Antonio Sciortino, ha pubblicato nel numero di ottobre un articolo di Giovanni Paolo Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII (da sempre impegnata nella cura dei minori), un’approfondita riflessione intitolata “Diritto a una famiglia”. Sull’affidamento familiare, dunque, un’attenta analisi dopo l’inchiesta “Angeli e demoni” su un giro di presunti affidi illeciti a Bibbiano. La comunità è stata fondata don Oreste Benzi, il sacerdote riminese che ha creato il concetto di casa famiglia e nel 1973 ha fondato la prima (oggi sono oltre 300 e accolgono tutte le categorie della fragilità umana.) 

Il primario interesse dei bambini

“I fatti riferiti alla vicenda di Bibbiano a Colle di Val d’Elsa, dove si presume che alcuni bimbi siano stati tolti alle famiglie d’origine, e anche gli scandali per abusi sui minori nella Chiesa, ci scuotono per amore di verità per mettere al centro il primario interesse dei bambini di essere amati, accuditi e cresciuti secondo una paternità e maternità responsabile – evidenzia Ramonda -. Di fronte alla messa in discussione dell’affidamento familiare da parte di esponenti istituzionali, vogliamo entrare nel merito e conoscere bene la situazione”. L’affidamento familiare (o affidamento del minore) trova la sua disciplina normativa nella Legge 184 del 1983e nelle successive modificazioni, in particolare quelle apportate dalla Legge 149 del 2001 e quelle recentemente introdotte dalla Legge 173 del 19 ottobre 2015. Significativamente la legge reca il titolo Diritto del minore ad una famiglia, e l’articolo 1, al primo comma afferma con chiarezza: “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”. E al quarto comma aggiunge: “Quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’educazione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge”, con riferimento cioè all’affidamento familiare e all’adozione.

Il concorso dei servizi sociali

Lo Stato nelle sue varie componenti e, soprattutto, attraverso i servizi sociali territoriali, deve sostenere economicamente, educativamente la famiglia d’origine. “Qualche mese fa, come Comunità Papa Giovanni XXIII, abbiamo sostenuto una coppia di zingari con cinque figli e uno in arrivo, a cui il Tribunale aveva disposto l’allontanamento dei bambini in comunità educativa, in quanto il padre doveva scontare delle pene e la madre non era ritenuta in grado di seguire le proprie creature – racconta Ramonda -. Con il concorso dei servizi sociali, abbiamo proposto la possibilità per il padre di scontare la pena in un nostro Cec (comunità educante con i carcerati ). E richiesto al Giudice di accettare che la famiglia fosse riunita in una canonica parrocchiale, con la presenza di un nostro educatore che garantiva la condivisione e il collegamento per verificare la capacità genitoriale”.

Famiglia d’origine

Un esempio, questo, di come tutta la comunità ecclesiale o civile può permettere che i figli rimangano con i propri genitori, a meno che ci siano effettive violenze o soprusi sui minori. “La disponibilità di altre famiglie interviene quando temporaneamente la famiglia d’origine è in forte sofferenza per motivi transitori”, sottolinea Ramonda -. L’affido è un istituto prezioso che va tutelato, valorizzato e potenziato, ma anche sostenuto economicamente. Anzitutto, con strumenti educativi ed economici nei confronti della famiglia d’origine. Il bambino va dato in affidamento solo quando è inevitabile. Al tempo stesso bisogna lavorare per risolvere i problemi alla base del suo allontanamento”. E, dunque, “fare di tutto affinché, sempre nella famiglia d’origine, si ricreino le condizioni necessarie per il rientro del minore stesso: l’affido è la risposta adeguata a un bambino, perché se si sente amato non accumula aggressività, che farà poi pagare ad altri”. Secondo il responsabile generale della comunità Papa Giovanni XXIII, “l’affido familiare è: prevenzione sociale, risparmio economico, risposta civile di alta qualità. Le famiglie affidatarie sono un tesoro preziosissimo e una risorsa sociale insostituibile, che va sostenuta e alimentata”. Occorre “creare una rete, un controllo sociale molto ampio: è questo che garantisce”.

Personalità mature

È un territorio sociale che “custodisce le famiglie d’origine e anche le famiglie affidatarie”. “Il tessuto sociale e i servizi sociali devono lavorare con una pluralità di soggetti- sostiene Ramonda-. L’affidamento familiare è un’esperienza validissima dal punto di vista umano, relazionale, affettivo. E dà una risposta a quei minori più vulnerabili del Paese, creando in questi bimbi delle personalità mature. Le case famiglia, invece, come concepite dal nostro fondatore don Oreste Benzi, sono quelle dove c’è una figura paterna e materna, maschile e femminile, che si donano in modo continuativo, definitivo e gratuito: veri papà e mamme, non a ore, che rigenerano nell’amore i figli non generati fisicamente, senza distinzione tra i figli biologici e quelli acquisiti”. Quindi “la vera casa famiglia è, per sua natura, ambiente terapeutico. Ognuno si sente importante perché amato e valorizzato nelle sue capacità. E sviluppa la stima di sé stesso perché c’è qualcuno che crede in lui”.

Altero-centrismo

Nelle case famiglia “ci sono fratelli e sorelle, piccoli e grandi, normodotati e portatori di handicap, nonni e giovani”. Ognuno di questi è “stimolatore originale di crescita equilibrata. I figli biologici maturano precocemente e, soprattutto, nella dimensione dell’altero-centrismo – conclude Ramonda -. Si cura anche il rapporto con la famiglia d’origine dei ragazzi. Coloro che vengono accolti sentono il rispetto versoi genitori naturali che hanno trasmesso loro la vita. La disponibilità di altre famiglie interviene quando la famiglia d’origine è fortemente in sofferenza”.

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