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Nell’archivio dei Pontefici

Il soggetto del documentario “I diari segreti del Papa – Gli Archivi Segreti Vaticani della seconda guerra mondiale“, prodotto da Stand by Me con Vatican Media, ha vinto al Mia (mercato internazionale dell'audiovisivo) conferito da National Geographic. “Il documentario prende spunto da una decisione storica di Papa Francesco: a marzo 2020 gli archivi segreti del Vaticano, contenenti i materiali relativi alla seconda guerra mondiale, verranno aperti e i 16 milioni di documenti, finora secretati, saranno rivelati – riferisce l’Ansa -. Una svolta destinata a fare chiarezza sulla posizione della Chiesa, in particolare del pontificato di Pio XII, in relazione al nazismo e all'olocausto. Grazie ad una consolidata partnership con Vatican Media, il documentario avrà accesso agli archivi e ai luoghi del Vaticano oggetto del racconto. Il team di progetto lavorerà fianco a fianco con un ristretto pool di studiosi autorizzato all'apertura e alla consultazione dei documenti”. La svolta storica di Jorge Mario Bergoglio risente della sua formazione conciliare. E’ dal Vaticano II che nella Chiesa viene posta l’esigenza di una maggiore trasparenza. Non senza resistenze, opposizioni, divergenze di interpretazione.

Dispute intra-ecclesiali

Non manca nel panorama cattolico chi non si riconosce nello schema conciliare prevalente. Roberto De Mattei è autore di un libro fortemente critico verso la “primavera” della Chiesa: Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau), Come tutti gli eventi storici, anche il Concilio ha avuto le sue ombre e le sue luci. In genere se ne evocano soprattutto le luci, De Mattei ricorda una vasta zona d’ombra: la mancata condanna del comunismo. Erano gli anni ’60 e aleggiava un nuovo spirito di ottimismo incarnato da Giovanni XXIII, il “papa buono”, Nikita Kruscev, il comunista dal volto umano, e John Kennedy, l’eroe della “nuova frontiera” americana. Ma erano anche gli anni in cui veniva innalzato il muro di Berlino (1961) e i sovietici installavano i missili a Cuba (1962). L’imperialismo comunista costituiva una macroscopica realtà che il Concilio Vaticano II, il primo “Concilio pastorale” della storia, apertosi a Roma l’11 ottobre 1962 e conclusosi l’8 dicembre 1965, non avrebbe potuto ignorare. Dentro il Concilio, per De Mattei, vi fu uno scontro tra due minoranze: una chiedeva di rinnovare la condanna del comunismo, l’altra esigeva una linea “dialogica” e aperta alla modernità, di cui il comunismo pareva espressione. Una petizione di condanna del comunismo, presentata il 9 ottobre ’65 da 454 padri conciliari di 86 Paesi, non venne neppure trasmessa alle commissioni che stavano lavorando sullo schema, provocando scandalo. De Mattei sottolinea che nell’agosto del ’62, nella città francese di Metz, era stato stipulato un accordo segreto fra il cardinale Tisserant, rappresentante del Vaticano, e il nuovo arcivescovo ortodosso di Yaroslav, monsignor Nicodemo, il quale, come è stato documentato dopo l’apertura degli archivi di Mosca, era un agente del Kgb. In base a questo accordo le autorità ecclesiastiche si impegnarono a non parlare del comunismo in Concilio. Era questa la condizione richiesta dal Cremlino per permettere la partecipazione di osservatori del Patriarcato di Mosca al Concilio Vaticano II (Jean Madiran, L’accordo di Metz, Il Borghese).

L’appunto di Paolo VI nell’Archivio Segreto Vaticano

Un appunto di pugno di Paolo VI, conservato nell’Archivio Segreto Vaticano, conferma l’esistenza di questo accordo. Altri documenti interessanti sono stati pubblicati da George Weigel nel secondo volume della sua imponente biografia di Giovanni Paolo II (L’inizio e la fine, Cantagalli). Inoltre Weigel ha consultato fonti come gli archivi del KGB, dello Sluzba Bezpieczenstewa (SB) polacco e della Stasi della Germania Est, traendone documenti che confermano come i governi comunisti e i servizi segreti dei Paesi orientali penetrarono in Vaticano per favorire i loro interessi e infiltrarsi nei ranghi più alti della gerarchia cattolica. A Roma, negli anni del Concilio e del post-Concilio, il Collegio Ungherese divenne una filiale dei servizi segreti di Budapest. Tutti i rettori del Collegio dal 1965 al 1987, secondo Weigel, dovevano essere agenti addestrati e capaci, con competenza nelle operazioni di disinformazione e nell’installazione di microspie. L’SB polacco cercò persino di falsare la discussione del Concilio sui punti peculiari della teologia cattolica come il ruolo di Maria nella storia della salvezza. Il direttore del IV Dipartimento, il colonnello Stanislaw Morawski, lavorò con una dozzina di collaboratori esperti in mariologia per preparare un pro-memoria per i vescovi del Concilio, in cui si criticava la concezione “massimalista” della Beata Maria Vergine del cardinale Wyszynski e di altri presuli. Per De Mattei la costituzione Gaudium et Spes, sedicesimo e ultimo documento promulgato dal Concilio Vaticano II, volle essere una definizione completamente nuova dei rapporti tra la Chiesa e il mondo. In essa mancava però qualsiasi forma di condanna al comunismo. La Gaudium et Spes cercava il dialogo con il mondo moderno, nella convinzione che l’itinerario da esso percorso, dall’umanesimo e dal protestantesimo, fino alla Rivoluzione francese e al marxismo, fosse un processo irreversibile. Il pensiero marx-illuminista e la società dei consumi da esso alimentata era in realtà alla vigilia di una crisi profonda, che avrebbe manifestato i primi sintomi di lì a pochi anni, nella Rivoluzione del ’68. I Padri conciliari, a giudizio di De Mattei, avrebbero potuto compiere un gesto profetico sfidando la modernità piuttosto che abbracciarne il corpo in decomposizione, come avvenne. Erano profeti, secondo De Mattei, coloro che in Concilio denunciavano l’oppressione brutale del comunismo reclamando una sua solenne condanna o chi riteneva, come gli artefici dell’Ostpolitik, che occorreva trovare un compromesso con la Russia sovietica, perché il comunismo interpretava le ansie di giustizia dell’umanità e sarebbe sopravvissuto uno o due secoli almeno, migliorando il mondo? Il Concilio Vaticano II, ha affermato il cardinale Walter Brandmüller, presidente emerito del Pontificio Comitato per le Scienze Storiche, avrebbe scritto una pagina gloriosa se, seguendo le orme di Pio XII, avesse trovato il coraggio di pronunciare un ripetuta ed espressa condanna del comunismo. Così non accadde e per De Mattei gli storici devono registrare come un’imperdonabile omissione la mancata condanna del comunismo da parte di un Concilio che si proponeva di occuparsi dei problemi del mondo contemporaneo.

L’immagine della Chiesa

Mezzo secolo fa è cambiata per sempre l’immagine di Chiesa e il pontificato di Francesco ne è compiuta espressione. L’ecclesiologia, secondo la definizione dell’Enciclopedia italiana, è “la dottrina circa l’esistenza, la costituzione, le note o caratteristiche individuanti della Chiesa”. Don Luis Antonio Gallo, teologo all’Università Pontificia Salesiana, offre una lettura originale del rapporto fra Francesco e la stagione aperta da Giovanni XXIII per aggiornare la Chiesa. “Fu un Concilio eminentemente ecclesiocentrico”, spiega Gallo. Il riferimento è al fatto che dopo i primi tentennamenti il Vaticano II trovò il fulcro delle sue riflessioni sull’idea di Chiesa grazie soprattutto agli interventi dei cardinali Léon-Joseph Suenens, arcivescovo di Malines-Bruxelles, e Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano. Il Concilio venne persino accusato da qualcuno di “narcisismo ecclesiologico”. Per smontare questa accusa fu necessaria l’allocuzione di Paolo VI nell’ultima sessione pubblica del Concilio il 7 dicembre1965. Anche su questo don Gallo esorta ad allargare lo sguardo.

I segni dei tempi

Durante i quasi quattro anni della sua celebrazione la coscienza di gran parte dei partecipanti subì, per influsso specialmente dei grandi movimenti sorti nella Chiesa stessa verso la fine del secolo XIX e nella prima metà del secolo XX, una profonda trasformazione. I fattori all’origine di questa trasformazione sono la ricerca di un ritorno alle fonti bibliche e patristiche, i rinnovati impulsi missionari, il tentativo di un rinnovamento liturgico, le aspirazioni verso un genuino ecumenismo e verso una più piena partecipazione dei laici nella vita e nell’attività della Chiesa. Stesso discorso per i “segni dei tempi” che si manifestarono nella società. E cioè la tendenza verso la personalizzazione, che portò a mettere la persona come soggetto pensante e libero al centro dell’attenzione, e verso la socializzazione, intesa come progressivo moltiplicarsi di rapporti nella convivenza con varie forme di vita e di attività associata. Il risultato di tutte queste spinte e tensioni interne al Vaticano II fu che i padri conciliari sentirono il bisogno di abbandonare il modello di Chiesa-istituzione, in vigore dal tempo di Costantino, ma che veniva ormai ritenuto da molti come superato e inadeguato. Secondo la ricostruzione del teologo Gallo, però, a questo abbandono non seguì un vuoto ecclesiologico, bensì la proposta di un modello di Chiesa-comunione in un primo momento, e poi di quello di “Chiesa-serva dell’umanità”, secondo l’espressione di Paolo VI. Il primo spostamento trovò la sua formulazione nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium e negli altri quattordici documenti che si ispirarono ad essa, e il secondo nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, documento imprevisto e redazionalmente immaturo, che nondimeno segna il punto più alto dell’evoluzione conciliare, e che assume quanto di innovativo comportava il precedente aprendolo però al servizio de un mondo in pieno processo storico di trasformazione, con tutti i pregi e i rischi che questo comporta.

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