E'stata depositata venerdì in cancelleria la sentenza (numero 242 del 2019) con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 580 del codice penale nelle situazioni di “suicidio assistito”. Il Movimento per la Vita, dall’osservatorio della sua capillare azione a salvaguardia della vita dal concepimento al suo termine naturale, ha analizzato le poche luci e le molte ombre del pronunciamento.
Un dovere senza etica
”In un contesto che non approviamo in alcun modo, ma col quale comunque dobbiamo fare i conti, tre ci sembrano gli aspetti da valorizzare della sentenza costituzionale che depenalizza in presenza di alcune condizioni l’aiuto al suicidio – evidenzia il Movimento per la Vita -. Il primo è senza dubbio il fatto che morire non è mai un diritto: la Corte Costituzionale ha sì depenalizzato l’aiuto al suicidio in alcune circostanze, ma nessun medico ha il dovere di aiutare qualcuno a suicidarsi, anche se rientra nelle situazioni particolari individuate dalla Consulta”. Secondo il Movimento per la Vita, una grande differenza con la legge sull’aborto, dove abortire non è un diritto di per sé, ma è previsto l’obbligo di eseguire l’“intervento” sulla base del documento “firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l'avvenuta richiesta”.
La medicina non può essere dispensatrice di morte
Per il suicidio assistito non c’è quindi bisogno di prevedere l’obiezione di coscienza, perché “resta affidato pertanto alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato”: il medico semplicemente potrà valutare liberamente di volta in volta come comportarsi, senza dover ricorrere a compilazione di moduli o stesura di documenti in caso di rifiuto a collaborare, come è invece nel caso dell’aborto volontario. Si può perciò dire che, nonostante tutto, resta sullo sfondo la consapevolezza che la medicina, per restare fedele a se stessa, non può farsi dispensatrice di morte. Interviene su questa fondamentale questione bioetica anche il senatore Lucio Romano, medico, vicepresidente della Commissione per le politiche europee e membro del Comitato nazionale per la Bioetica.
Il nodo della scelta dei trattamenti
“La Corte Costituzionale ha ratificato la non punibilità dell’aiuto al suicidio 'per garantire la prevalenza della legalità costituzionale su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore' – osserva -. Proprio perché non è stata approvata nessuna normativa, la Corte ha ritenuto di intervenire, ovvero “porre rimedio, comunque, alla violazione riscontrata nella limitazione della libertà di autodeterminazione del malato nella scelta dei trattamenti”. Viene riconosciuta la libertà di autodeterminazione del malato nel “congedarsi dalla vita con l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita, come unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare”.
Rischi di abuso
Quindi sì della Consulta al suicidio assistito ma, sottolinea Romano, “per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, solo in determinate condizioni: persona affetta da una patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Inoltre, la Corte “richiama il rispetto della normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua e la verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”.
Passaggio significativo
Secondo il Movimento per la Vita, “la sentenza segna un passaggio significativo, sotto il profilo di legittimità costituzionale, in un ampio dibattito, certo conflittuale, in ambito bioetico”. Ma, si chiede il Movimento per la Vita, tutto risolto? Quale sarà il ruolo del Parlamento? “Risulta evidente che una diversa posizione del legislatore rispetto a quanto indicato dalla Corte potrebbe, con ragionevole certezza, essere ritenuta incostituzionale – sottolinea il Movimento per la vita -. Sia in una possibile interpretazione difforme sia in quelle estensive volte all’introduzione di una vera e propria eutanasia. Si può dire che una futura legge è stata già delineata per quanto il Parlamento non può limitarsi ad una mera ratifica”. Fermo restando i criteri indicati dalla Corte, rimangono alcuni e non secondari aspetti.
Obiezione di coscienza
Uno dei quali è “l’obiezione di coscienza del personale sanitario; un diritto costituzionalmente tutelato e riconosciuto dal nostro ordinamento”. Nella sentenza, infatti, si richiama esplicitamente, proprio in tema di “obiezione di coscienza del personale sanitario”, che i medici non hanno alcun obbligo di procedere all’aiuto al suicidio assistito. “Resta affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire alla richiesta del malato”. Ma il personale sanitario non è rappresentato solo dai medici. “E gli altri, sono obbligati?”, si interroga il Movimento per la Vita. Altro aspetto fondamentale è il concreto accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore che, come esplicita la Corte, devono essere garantite essendo “un prerequisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente”, come già evidenziato all’unanimità dal Comitato nazionale per la bioetica nel recente Parere “Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito”.
Insufficiente numero di hospice
Il Parlamento, secondo il Movimento per la Vita, deve farsi carico, così come le amministrazioni regionali per le rispettive competenze, dell’assoluta inadeguatezza della copertura delle cure palliative e delle terapie del dolore, la cui carenza è causa di ulteriori sofferenze, abbandoni fino alla richiesta di eutanasia. “In Italia solo 240 hospice con 2777 posti letto a fronte di una prevedibile richiesta che aumenterà ancor più nei prossimi anni – puntualizza il Movimento per la Vita -. Comunque alcuni e problematici interrogativi si pongono. Stiamo assistendo allo scivolamento dal “lasciare morire” che riconosce il limite dell’intervento medico all’agevolare la morte, per quanto motivato dalla legalità costituzionale? Stiamo assistendo a una trasformazione in nuove modalità del paradigma “curare e prendersi cura” su cui si fonda la professione medica e non solo?”. Con la sentenza, comunque, “non si riconosce il diritto a morire né un ricorso generico al suicidio assistito”. Ma, secondo il Movimento per la Vita è necessario richiamarlo ancora una volta, se da un lato “lasciar morire” è condiviso contrasto alla ostinazione irragionevole dei trattamenti, dall’altro significa doverosità delle terapie del dolore e dell’accompagnamento palliativo anche con sedazione continua profonda, in un contesto di relazione paziente-medico dove si realizza l’alleanza tra fiducia e coscienza. In definitiva, pazienti inguaribili ma sempre curabili.
La libertà del personale sanitario
Al Movimento per la Vita pare che la libertà lasciata al medico dalla sentenza 242 del 2019 non possa non avere ripercussioni sulla discutibilissima legge 219 del 2017 sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) , matrice da cui è discesa dapprima l’ordinanza 207 del 2018 e adesso la sentenza 242 del 2019. Anzi, in questo senso, “la Corte offre un’importantissima chiave di lettura della legge 219 laddove non prevede l’obiezione di coscienza del medico, ma al tempo stesso, contraddittoriamente, da un lato prevede la vincolatività delle Dat e, dall’altro, si riferisce alla deontologia professionale che esonera il medico dall’adempiere richieste che contrastano con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico”. In altre parole, “la Corte riconosce la liceità dell’aiuto al suicidio in alcune circostanze, in coerenza e continuità con la legge 219 sulle Dat: logica vorrebbe che allo stesso modo, se il medico è libero di aderire o meno alla richiesta di aiuto al suicidio, lo dovrebbe essere allo stesso modo anche rispetto ad analoghe, eventuali richieste di interruzione di sostegni vitali nelle Dat, che invece sono considerate vincolanti”.
Gli effetti del Dat
Il Movimento per la Vita, quindi, condivide la considerazione del Centro Studi Livatino secondo cui se vi è continuità fra la disciplina delle disposizioni anticipate di trattamento e l’aiuto al suicidio, come la Consulta ribadisce in tutta la sentenza, tale omogeneità impone di riconoscere analogo spazio al pieno dispiegamento della coscienza del medico a fronte della esecuzione di Dat, pur se la legge numero 219 del 2017 non riconosce espressamente il diritto di obiezione. In tal senso la Corte sembra risolvere il contrasto fra quanto, nella legge 219, prevede l’articolo 4 comma 5, che obbliga il medico a dare esecuzione alle Dat, e quanto invece dice l’articolo 1 comma 6, che permette al medico di sottrarsi a tale esecuzione se gli viene richiesto qualcosa che contrasta con la deontologia.
Cure palliative
Un secondo aspetto importante, evidenzia il Movimento per la Vita, riguarda l’inserimento di un effettivo percorso di cure palliative e terapia del dolore tra le note condizioni necessarie per poter accedere al suicidio assistito. Sarebbe un “paradosso”, scrive la Corte, “non punire l’aiuto al suicidio senza avere prima assicurato l’effettività del diritto alle cure palliative”. Il tema delle cure palliative e della terapia del dolore è fondamentale per il Movimento per la Vita e, al di là di ogni affermazione a favore, “c’è molto da fare per rendere praticamente accessibili queste cure e terapie a tutti su tutto il territorio nazionale”. Eppure, “purtroppo, c’è una legge, la numero 38 del 2010 che ancora non è né abbastanza conosciuta né, soprattutto, applicata in ogni aspetto”.
I compiti del Ssn
Una terza riflessione merita, secondo il Movimento per la Vita, il passaggio sulla verifica sia delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio, sia delle relative modalità di esecuzione: esse sono affidate alle strutture pubbliche, integrate dall’intervento di un organo collegiale terzo, munito di adeguate competenze, il quale possa garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità. Cioè, il servizio sanitario nazionale si fa carico di controllare l’accesso e le procedure mediche per il suicidio assistito, e niente viene detto su dove debba essere eseguito e su chi lo debba eseguire. Secondo il Movimento per la Vita , se da un lato non convince affatto che il servizio sanitario nazionale, cioè la collettività, si faccia in qualche modo carico di una prestazione mortifera, dall’altro lato va detto che così viene impedito che si facciano largo strutture private dedicate al procurare la morte su richiesta: non saranno possibili offerte “tutto compreso” da parte di gruppi di interesse, ed ogni singola richiesta deve superare il vaglio di strutture pubbliche che non ne traggono guadagni.
In gioco c’è la dignità umana
Insomma, in questo modo se il servizio sanitario nazionale è obbligato a verificare le condizioni per accedere e le modalità di esecuzione, non è però tenuto a garantire le strutture e il personale per l’assistenza al suicidio. A fronte di tutto questo diventa quindi prioritario un impegno a 360 gradi sul piano culturale, formativo, educativo, per promuovere accoglienza, solidarietà e autentiche relazioni di cura, ma anche sul piano concreto per sostenere le realtà che si occupano di accudire e proteggere amorevolmente quanti sono afflitti da malattia, disabilità, sofferenza, situazioni che esigono cura e premura, non morte procurata. I medici, chiarisce il Movimento per la Vita, sono in prima linea e la loro responsabilità è innegabile e notevole perché in gioco sono ancora una volta l’inscalfibile dignità umana e il sollievo dalla sofferenza.