Il “pezzo di carta” serve: laurearsi conviene. Il 7,1% dei laureati è fondatore di impresa. Il Rapporto “Laurea e imprenditorialità” realizzato da AlmaLaurea in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna e Unioncamere, ha considerato i dati di 2.891.980 laureati in Italia tra il 2004-2018 e delle imprese da essi fondate. Si tratta del primo studio sull’imprenditorialità dei laureati in Italia e si basa sui dati, a livello aziendale, delle 236.362 imprese da essi fondate.
Carica da titolare
Dal Rapporto emerge che il 7,1% dei laureati è fondatore di impresa (al momento della creazione di un’impresa possiede una quota di capitale e ricopre un ruolo imprenditoriale come amministratore, titolare o socio): complessivamente si tratta di 205.137 laureati. Le imprese da loro fondate sono 236.362, e rappresentano il 3,9% del totale delle imprese presenti in Italia a settembre 2019. Il 61,3% dei fondatori ricopre una carica da titolare, il 22,1% da amministratore e il 16,6% da socio. Il 37,1% dei fondatori ha creato la propria impresa prima di conseguire la laurea (il 13,4% prima di iscriversi all’università, il 23,7% durante gli studi universitari), mentre il 27,0% entro il terzo anno dalla laurea. La quota restante (35,9%) ha creato la propria impresa dopo il terzo anno dalla laurea. Tra i fondatori gli uomini rappresentano il 53,9% mentre le donne il 46,1% (nella popolazione di laureati le percentuali sono invece, rispettivamente, 40,1% e 59,9). “Dall'indagine emerge il dato confortante che i nostri laureati hanno un significativo spirito imprenditoriale- commenta il presidente del Consorzio AlmaLaurea Ivano Dionigi -. Lo studio mette altresì in evidenza che, anche in questo campo, come in quello dell'orientamento, il contesto socio-economico della famiglia esercita un ruolo decisivo. Pertanto, anche in considerazione dell'attuale scenario economico, la cultura imprenditoriale va incentivata attraverso efficaci attività di orientamento e di promozione di competenze che ne facilitino la diffusione”.
L'imprenditoria rosa
Le imprese femminili rappresentano il 38,0% (ossia 89.917) del totale delle imprese create dai laureati. Questa percentuale è maggiore di quella nazionale che è pari al 22,0%. Il 12,8% opera nel settore agricolo, il 7,4% nel settore secondario e il 79,8% opera nel settore dei servizi (nello specifico, il 33,0% nel commercio). La percentuale di imprese femminili nel settore professionale, tecnico e scientifico è pari al 7,7%. Si tratta di una percentuale minore di quella osservata nella nostra popolazione di imprese (9,8%), ma superiore a quella nazionale di imprese femminili che operano nello stesso settore (3,8%). Le imprese femminili sono definite come imprese la cui partecipazione al controllo e alla proprietà è detenuta in prevalenza da donne. Le start-up innovative fondate dai laureati sono pari al 20,2% (2.127) di tutte le start-up innovative nate in Italia (10.546). Il 24,3% delle start-up innovative opera nel settore professionale, scientifico e delle attività tecniche. Le start-up innovative per essere tali devono soddisfare almeno uno dei seguenti criteri: 15% o più di spese sostenute in ricerca e sviluppo; un terzo o più del personale in possesso di dottorato di ricerca; 2/3 o più della manodopera in possesso di una laurea magistrale; essere titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale.
Radici familiari
Tra i fondatori di aziende, si rileva una maggiore presenza di laureati con genitori che svolgono professioni di livello più elevato: l’11,5% ha un padre imprenditore (tale quota è del 4,7% nella popolazione dei laureati), il 39,0% ha un padre libero professionista (è il 30,2% nella popolazione), il 7,4% ha un padre dirigente e il 7,2% un padre direttivo/quadro (nella popolazione le percentuali sono, rispettivamente il 7,0% e l’8,4%). Tra i fondatori ha un padre impiegato il 21,2% e un padre operaio il 13,2% (nella popolazione le quote sono, rispettivamente, il 29,9% e il 19,2%). Se si prende in considerazione la professione delle madri dei fondatori, la distribuzione è differente, ma conferma tali tendenze. Tra i fondatori, il 58,5% ha conseguito il titolo negli ultimi 10 anni (nel periodo 2009-2018), il 41,5% da più di 10 anni (nel periodo 2004-2008); nella popolazione del complesso dei laureati le quote sono, rispettivamente, 68,8% e 31,2%. Il 75,0% dei fondatori ha creato un’impresa nella medesima regione sede dell’ateneo di conseguimento del titolo; l’8,1% in una regione differente, ma nella medesima ripartizione territoriale dell’ateneo (nord, centro, sud e isole). Il restante 16,9% ha creato un’impresa in una ripartizione territoriale differente rispetto a quella degli studi universitari. Tra i laureati degli atenei statali la quota di fondatori è in linea con la media complessiva e pari al 7,0%, mentre sale al 9,4% tra i laureati degli atenei non statali. Tra i fondatori, proviene da un ateneo statale il 96,4% e da un ateneo non statale il 3,6%. Per il complesso dei laureati le quote sono, rispettivamente, 97,3% e 2,7%.
Gruppi disciplinari
Tra i fondatori, il 18,1% ha conseguito una laurea nel gruppo disciplinare economico-statistico, il 14,2% nel gruppo politico-sociale, il 9,4% in quello giuridico, l’8,6% in ingegneria, l’8,6% nel gruppo letterario, il 7,8% nel gruppo medico. Nel complesso della popolazione dei laureati, l’ambito disciplinare più diffuso è quello medico, con il 13,2%; il 12,7% ha invece conseguito una laurea nel gruppo disciplinare economico-statistico, l’11,8% nel gruppo politico-sociale, il 10,3% in ingegneria, l’8,6% nel gruppo letterario e l’8,5% in quello giuridico. Tutti gli altri gruppi disciplinari sono meno rappresentati, sia tra i fondatori sia tra i laureati complessivamente considerati. “L’indagine mostra come l’imprenditorialità dei laureati abbia esiti positivi nell’ambito del contesto nazionale- evidenzia il direttore del Consorzio AlmaLaurea Marina Timoteo-. Le imprese create dai laureati sono più vitali: hanno, infatti, un tasso di crescita e di sopravvivenza più alto, assumono forme giuridiche più complesse e contribuiscono a creare opportunità di lavoro anche nelle aree del territorio italiano che vivono maggiori difficoltà economiche. La ricerca conferma, quindi, il dato, già da tempo acquisito dalle indagini di AlmaLaurea: laurearsi conviene. Chi si laurea ha più chances di fare impresa e ha più chances di far durare l’impresa che ha creato”.
Opportunità di sviluppo
“Questa ricerca presenta i primi dati che combinano per un intero Paese i laureati delle sue università e le imprese da essi fondate in un lungo orizzonte temporale – spiega Maurizio Sobrero del Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna -. Si tratta di una novità importante nel panorama mondiale della ricerca sul ruolo delle Università nel supportare lo sviluppo economico non solo attraverso la formazione di figure professionali qualificate, ma anche offrendo opportunità concrete di sviluppo di progetti imprenditoriali. Si tratta di uno sforzo tecnico particolarmente complesso, reso possibile dalla collaborazione lungimirante di due istituzioni come AlmaLaurea e Unioncamere che, per la prima volta, incrociano i propri dati e danno loro ulteriore vigore per indirizzare in modo più approfondito e consapevole le scelte a supporto dell’imprenditorialità. Il Dipartimento di Scienze Aziendali ha fornito il supporto scientifico e continuerà a sostenere lo sviluppo delle analisi per mettere a disposizione delle comunità interessate nuove opportunità di studio e di intervento”.
Le competenze richieste
“Dallo studio emerge un dato significativo: il 7% dei laureati nelle diverse discipline avvia una attività di impresa”, sottolinea il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli. “Per fondare una azienda serve certamente una idea brillante e innovativa, ma servono anche le conoscenze per la realizzazione del business plan e le competenze di carattere manageriale sugli aspetti finanziari del fare impresa. Su questo piano intervengono le Camere di commercio, lavorando, insieme alle associazioni, al fianco degli aspiranti e neo imprenditori. Un sostegno decisivo soprattutto per le imprese di minori dimensioni”. per quanto riguarda la forma giuridica delle aziende , Il 60,2% è costituito da imprese individuali; il 24,8% da società di capitale, il 15,0% da società di persone, mentre il restante 0.01% assume altre forme giuridiche. Questa distribuzione è coerente con quella nazionale, nello stesso periodo, caratterizzata per il 52,1% da imprese individuali, per il 28,1% da società di capitale, per il 16,3% da società di persone e per il 3,5% da altre forme giuridiche. Negli ultimi dieci anni, nella nostra popolazione di imprese, la percentuale di società di capitale è cresciuta del 65,2%: circa due volte il tasso di crescita delle società di capitale a livello nazionale. L’11,6% delle imprese opera nel settore agricolo, il 9,4% in quello industriale e il 79,0% nei servizi. Nei servizi, per citare i più rappresentati, il 29,1% delle imprese opera nel ramo del commercio; il 9,8% nelle attività professionali, scientifiche e tecniche; l’8,9% nelle attività finanziarie ed assicurative; il 7,5% nelle attività di servizi di alloggio e di ristorazione; il 6,9% in servizi di informazione e comunicazione.
I settori
A livello nazionale, la percentuale di imprese che opera nel settore agricolo risulta del 12,2%, mentre il 22,7% opera nel settore industriale ed il 65,1% nei servizi. Nello specifico, il 24,9% opera nel settore del commercio, il 3,5% opera nelle attività professionali, scientifiche e tecniche; il 2,1% nelle attività finanziarie ed assicurative; il 7,4% nelle attività di servizi di alloggio e ristorazione; il 2,2% nei servizi di informazione e comunicazione. In particolare, la percentuale di imprese che operano in attività professionali, scientifiche e tecniche è cresciuta negli ultimi dieci anni, dal 10,1% nel 2009 al 13,2% nel 2018. Osservando l’andamento a livello nazionale degli ultimi dieci anni, la percentuale di imprese che svolgono attività professionali, cresce dal 3,1% al 3,5%. Per le imprese che operano nel settore agricolo, la percentuale, per la nostra popolazione osservata, è aumentata negli ultimi cinque anni, in controtendenza con il trend nazionale. Usando la classificazione EU, le imprese fondate dai laureati sono così suddivise: il 96,1% è costituito da micro imprese, con un fatturato annuale inferiore a 2Ml€, il 3,9% è formato da piccole o medie imprese, con un fatturato tra 2 e 50 milioni di euro e solo lo 0,03% del totale delle imprese è costituito da grandi imprese, con fatturato superiore ai 50 milioni di euro. Le informazioni riguardanti i laureati provengono dalla banca dati di AlmaLaurea (che raccoglie circa il 90% dei laureati in Italia nel 2018), mentre le caratteristiche delle imprese derivano dalla banca dati di Unioncamere e AIDA Bureau van Dijk. Le informazioni relative ai laureati riguardano, in particolare, le caratteristiche demografiche, quelle della famiglia d’origine e del percorso universitario concluso. Le informazioni relative alle attività imprenditoriali ricoprono un ampio spettro dell’imprenditorialità dei laureati, dalla creazione di nuove imprese, alla gestione e acquisizione di imprese.
Micro-imprese
Il 49,2% del fatturato totale è generato dalle micro imprese, il 43,5% dalle piccole e medie imprese; le grandi imprese danno origine al restante 7,3%. A livello nazionale, le micro imprese rappresentano il 95,3% delle imprese attive e contribuiscono per il 29,7% alla creazione di valore aggiunto. Le piccole e medie imprese costituiscono il 4,6% e contribuiscono per il 38,8% alla creazione di valore aggiunto. Infine le grandi imprese rappresentano lo 0,4% e contribuiscono al 31,5% del valore aggiunto realizzato. Sotto il profilo territoriale, il 37,4% delle imprese fondate dai laureati è localizzato nel Nord Italia, il 21,7% nelle regioni del Centro e il 40,8% nelle regioni del Sud Italia. La ripartizione territoriale delle imprese italiane presenta un quadro differente rispetto a quello delle imprese fondate dai laureati: sono per il 45% insediate nel Nord, per il 21% nel Centro e per il 34% nel Sud Italia. Delle 9.821 imprese nate nel 2009, dopo dieci anni, è ancora attivo il 54,8% (si tratta di circa 5.400 imprese). A livello nazionale, delle 312mila imprese nate nel 2009, dopo 10 anni, è ancora attivo il 40,6% (circa 127mila). Il tasso di crescita è dato dal rapporto tra il saldo fra iscrizioni e cessazioni, per ogni anno di osservazione, e lo stock delle imprese di laureati (236.362). Il tasso di crescita è aumentato negli ultimi dieci anni, passando dal 2,2% nel 2009 al 3,7% nel 2018. A livello nazionale, il tasso di crescita delle imprese (calcolato come rapporto tra il saldo fra iscrizioni e cessazioni e lo stock annuale delle imprese registrate) diminuisce: dall’1,2% nel 2009 allo 0,5% nel 2018.