Anche in queste ultime elezioni regionali che hanno interessato l’Emilia Romagna e la Calabria, c’è stato un gran discutere sulla diversità del voto delle città e quella della campagna, con valutazioni non sempre condivisibili e con semplificazioni grossolane e fuorvianti. Si il carattere del voto della campagna e dei piccoli e medi centri è diverso da quello delle grandi città, ma certamente non perché è frutto del risentimento della percezione di abbandono da parte della politica. Si magari una piccola porzione di questa componente di valutazione ci potrà pur essere, ma credo che le ragioni sono più profonde ed anche precise.
In campagna certamente non si apprezza il “politically correct“‘ e i toni soft non sono compresi, viengono valutati come cosa falsi, ipocriti, irrealistici. Si preferisce un linguaggio diretto, più comprensibile. E questo è abbastanza plausibile: le modalità di rapporto tra le persone in campagna, pur civilissimo e sano, sono molto dirette. L’altra questione, che è di grande importanza, è che negli ambienti di periferia, le tradizioni, la religione, la cultura della vita, sono molto considerate; mal si digerisce il clima dissacrante che specialmente nell’ultimo quinquennio ha caratterizzato la discussione politica e le decisioni dei governi. Nelle città la realtà non è la stessa.
Poi c’è un’altra componente che influisce sensibilmente sui risultati elettorali: quella del non voto. Infatti in città l’astensione dal voto è strutturalmente più accentuata che nelle periferie. Ad esempio il voto di Bologna. Aldilà del travaso del consenso elettorale dai 5 stelle al PD, la differenza l’ha fatta l’affluenza alle urne di gran lunga maggiore rispetto alle altre volte per il clima arroventatissimo di scontro e di paura che ha mobilitato più del solito. Insomma il dato della campagna del voto espresso, in questo caso, nell’ultimo decennio è stato più alto.