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Isolamento e paura, il racconto dei cristiani cinesi

Asianews, l'agenzia del Pontificio istituto missioni estere, racconta la vita dei cristiani in piena emergenza-coronavirus. Da un mese, a causa dell’epidemia di coronavirus, i cinesi vivono isolati nelle loro case: non possono uscire, né visitare i vicini o gli amici, né parlare con qualcuno in strada.

Vita parrocchiale ferma

Ogni due giorni, una persona per famiglia può uscire per andare a comprare beni di prima necessità. L’entrata e l’uscita dal villaggio è sotto controllo. Sono alcuni degli aspetti della vita di un villaggio nella Cina centrale, raccontati ad AsiaNews da padre Pietro, il parroco. Su ordine dell’Ufficio affari religiosi e su indicazione dei vescovi, la vita delle parrocchie è fermata: niente messe, nemmeno alla domenica, e niente incontri o attività. Le famiglie si radunano in casa a leggere la Bibbia, a pregare per gli eroici dottori e infermieri di Wuhan, chiedendo a Dio di salvare la Cina e convertire le persone. Padre Pietro racconta anche della paura che riempie il cuore della gente, tenuta all’oscuro e costretta ad obbedire, e lancia un appello: “Vi chiedo di pregare la misericordia di Dio perché questo disastro si conclude il più presto possibile, così che noi cinesi possiamo ritornare alla nostra vita normale e al nostro lavoro”. Il Nuovo Anno cinese del 2020 è giunto in modo totalmente inaspettato. Dall’inizio dell’anno fino ad oggi il tempo sembra essere sospeso. Tutte le nostre vite sono state interrotte con forza, lavoro e studio messi sottosopra.

Nel villaggio 

Ci chiedono di stare in casa e di non uscire e andare in giro. Ci chiedono di indossare maschere, lavare le mani con frequenza, non partecipare a nessuna attività di gruppo. Ma sono già passati 20 giorni. La realtà è un po’ diversa da quanto si dice in tivu, perché siamo sempre più isolati, quasi completamente isolati. In particolare, negli ultimi giorni, ci hanno chiesto di uscire dal villaggio (anche per la ripresa del lavoro). Hanno misurato la temperatura a tutti e a tutti hanno chiesto la registrazione con la nostra carta d’identità. Se tu sei un impiegato, devi mostrare il certificato della tua azienda quando entri o esci dal villaggio; se tu non sei un impiegato, sei costretto a stare in casa, non ti è permesso di andare in giro, non puoi conversare in strada, non puoi visitare amici e vicini.

Scarsità di cibo

Ogni due giorni, una persona per famiglia può uscire dal villaggio per comprare ciò che è necessario. Per fortuna, i cinesi hanno l’abitudine di immagazzinare molto cibo e verdure in prossimità del Capodanno.  Così, quando è arrivato il coronavirus, è stato sufficiente “quanto avevamo già immagazzinato”. Ma con l’andar del tempo, abbiamo sempre meno cibo e verdure. “Credo che nel prossimo futuro ci sarà un sacco di gente che andrà fuori per comprare cose. In tal modo molte persone si incontreranno nei mercati o nei supermercati e avranno contatti fra di loro”, racconta il parroco ad Asianews. Questo è ciò che molti temono, ma dobbiamo farlo. La gente ha paura. “Non sappiamo cosa succederà e quando passerà questo disastro”, precisa.

Ritrovarsi in famiglia

Per questo motivo “viviamo ogni giorno in una inspiegabile paura. Vi sono anche persone che non sono coscienti del disastro”. Talvolta essi vivono come se non ci fosse nessun problema, e questo aumenta le occasioni di infezione. Naturalmente, tutte le attività della nostra parrocchia sono state fermate. Abbiamo cancellato la messa quotidiana e le altre attività parrocchiali. Ogni domenica domandiamo ai fedeli di trovarsi in famiglia a leggere la Bibbia, a pregare per il personale medico, specie quelli di Wuhan, a pregare per la conversione delle persone. Non abbiamo strumenti professionali per dare la possibilità alla gente di seguire in diretta la messa in tivu, come fanno a Hong Kong e a Macao. Però ho saputo che alcuni sacerdoti usano il loro cellulare per trasmettere la messa che essi celebrano. Ma trovo che sia una cosa alquanto buffa per i fedeli assistere alla messa coi loro cellulari in mano, mentre siedono sul divano.

L'attesa

Aggiunge il parroco cinese ad Asianews: “Da parte mia, trovo più appropriato incoraggiare i fedeli a leggere la Bibbia e a pregare insieme. Dopo tutto, il coronavirus passerà e la fine del mondo non è così vicina! Se la fine del mondo arriva, è meglio leggere la Bibbia che assistere alla messa dal cellulare. Dal giorno in cui abbiamo cancellato le messe, fino ad oggi, il dipartimento delle religioni ha diffuso documenti in cui si avvisa che non possiamo riprendere a celebrare messa fino a nuovo ordine: dobbiamo aspettare che essi ce lo dicano. Trovo così strano che tutte le nostre attività religiose siano controllate da loro in modo così capillare! Che si faccia la messa o che non la si faccia, dobbiamo sempre seguire i loro programmi”. Questa è “la nostra vita di tutti i giorni“. Alcune persone sono angosciate: temono che esse e le loro famiglie saranno infettate dal virus; altre attendono con la speranza che il disastro finisca presto, altre ancora sono preoccupate perché hanno bisogno di trovare un lavoro e impegnarsi per sostenere la vita della loro famiglia. “Vi chiedo di pregare la misericordia di Dio perché questo disastro si conclude il più presto possibile, così che noi cinesi possiamo ritornare alla nostra vita normale e al nostro lavoro”, conclude

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