Come Kant dimostrò l’esistenza di Dio

A sinistra: Foto di Günther Simmermacher da Pixabay A destra: Foto di Наталия da Pixabay

Dopo Spinoza, che aveva aperto alla filosofia il valore delle scienze per la scoperta delle leggi che regolano la natura, attraverso cui si manifesta la perfezione di Dio e la finitezza dell’uomo che non può che sottostare ad esse, la ricerca filosofica si indirizza verso l’opportunità delle scelte guidate dalla ragione, contrastando l’assunzione di verità precostituite e tramandate, aprendosi la strada allo sviluppo dell’attività critica, intesa come esame dei quesiti da risolvere da parte della ragione, che viene considerata autosufficiente a conoscere ogni attività del sapere.

È l’illuminismo, il secolo dei lumi, che sono quelli della ragione e non più delle verità accettate incontrovertibilmente, per cui l’indagine conoscitiva è sottoposta all’attività critica da parte dell’intelletto, favorita dalle scoperte della scienza e della tecnica che sembrano confermare la bontà della strada intrapresa.

Ne sarà alfiere Kant, filosofo vissuto nella seconda metà del Settecento nella Prussia orientale, oggi territorio russo tra Polonia e Lituania, che per primo capovolse l’indagine ponendo l’essere umano al centro della speculazione, in quanto distinto dalla natura per la sua capacità di analizzare criticamente le sue leggi con l’uso della ragione, che volle distinguere in ragion pura, diretta alla conoscenza, ed in ragion pratica, rivolta al comportamento; dedicò un’altra critica al giudizio, inteso come capacità di valutazione estetica, in cui la ragione fuoriesce dal campo della conoscenza, soggetta alle leggi di causalità, e della morale, proiettata verso l’attuazione del dovere liberamente scelto, e si rivolge a se stessa per esprimersi in maniera assoluta.

Il compendio delle opere kantiane, che costituisce un momento determinante dello sviluppo del pensiero filosofico, per la sistemazione antropocentrica che era sfuggita ai filosofi naturalisti, è frutto dell’età matura del filosofo, al termine anche del suo impegno universitario all’età di circa sessant’anni, e rappresenta un capovolgimento dei metodi di indagine, di cui opera una sintesi ponendo l’attività razionale al servizio delle scienze ed introducendo, nell’analisi della conoscenza, il metodo trascendentale, che si pone tra l’immanenza propria della natura e la trascendenza propria dell’attività dell’intelletto: l’intuizione si realizza nell’esperienza.

I suoi predecessori avevano ragionato dimostrando attraverso prove logiche l’esistenza di Dio: da Sant’Agostino a San Tommaso la ricerca filosofica si era sottoposta alla teologia quale fine ultimo della prima che in essa era ricompresa; Cartesio e Pascal prima, Leibniz, Voltaire e Rousseau poi, dei quali Kant si pone al seguito, erano riusciti a dimostrare logicamente e razionalmente l’esistenza di Dio e l’intero movimento illuminista sottopose a giudizio analitico il problema di Dio, risolvendolo positivamente: applicando il principio di causalità, motore indispensabile dello sviluppo, Dio era elemento imprescindibile della natura e dell’attività umana, senza il quale, quindi, alcuna attività avrebbe potuto esprimersi.

Kant prende le distanze dalla critica scettica di Hume, che escludeva la necessità nel rapporto causale anticipando il principio di indeterminazione scoperto dalla fisica post newtoniana, e si propone di riscrivere le categorie necessarie dell’intelletto al fine di ricomprendere in esse anche le leggi dell’universo. E ci riesce non per via ontologica, mediante l’analisi dell’essere e delle cause della sua esistenza, ma attraverso l’analisi etica della verità, condizione indispensabile che conduce al postulato del sommo bene: non posso dimostrare l’esistenza di Dio mediante prove logiche provenienti dalla ragione ma devo considerare che esista poiché è l’unica condizione indispensabile della ricerca del bene. L’indagine quindi si sposta sul piano teleologico, come direzione verso la quale ci si deve muovere per obbedire alla legge etica che ci poniamo, e si realizza ponendo lo sguardo all’interno dell’uomo, in cui egli trova Dio quale fondamento della sua condotta morale. Non il Dio della Natura di Spinoza, ma il Dio dell’Uomo, così restituendone la visione antropomorfa.