Aborto nella Costituzione: il segno di un Paese che ha rinunciato al suo futuro

Foto di Jane Lund da Pixabay

Sembra un sogno, un tuffo nel passato. Sembra essere in pieno sessantotto, durante i cortei della rivoluzione sessuale che dalle università si riversavano per le strade di Parigi. Ma siano nel 2024 e la folla che esulta festante radunata sotto la Tour Eiffel per il riconoscimento dell’aborto come un diritto costituzionale ha il sapore di una macabra danza, di un corteo funebre.

È il grido sordo e confuso dell’Occidente che ha scelto la via del declino dopo aver confuso il benessere con la felicità, i diritti con la libertà, la realtà con la fantasia, la ragione col sentimento, la narrazione con la verità, l’informazione con le cose (Byung-Chul Han), l’ecologismo con il creato, la morte con la vita, l’ideologia con la fede, l’idolo creato col Dio creatore. Rinunciando alle seconde per scegliere le prime l’Occidente ha scelto di rinunciare al ruolo di protagonista del proprio futuro per divenire il suo stesso boia. Una scelta suicida quella di vivere nella menzogna (R. Dreher) e rinunciare alla ricerca della verità.

La scelta della Francia, che una volta vantava il titolo di “figlia prediletta della Chiesa”, ha fatto breccia al di là degli Appennini e delle Alpi. Forze politiche e movimenti culturali in Italia e Spagna sognano già ad occhi aperti di festeggiare una costituzione abortista a Roma o a Madrid. Segno di come la cultura della morte (Giovanni Paolo II) si diffonde a macchia d’olio minacciando e distruggendo ogni germoglio di civiltà. E mentre Macron auspica che il suo esempio sia di ispirazione per il mondo intero in Stati Uniti Biden, il cattolico, promette battaglia per garantire alle donne americane «il diritto all’aborto» attraverso una legge federale. Ora il presidente francese chiede che l’aborto sia riconosciuto come diritto dalla Unione Europea mentre inizia l’iter per una legge sul suicidio assistito.

Sono ormai decenni che si discute sul destino dell’Occidente in termini di “suicidio”, tanto che alcuni lo considerano semplicemente un particolare genere letterario per una nicchia di nostalgici. Ne discusse James Burnham negli anni sessanta, poi il filosofo Roger Scruton che denunciò l’odio di sé come radice del declino della civiltà, oggi ne parlano Rampini (Il suicidio dell’Occidente, 2022), Cardini (La deriva dell’Occidente 2023) e Douglas Murray (La stana morte dell’Europa 2018; Guerra all’Occidente 2023).

Un declino, quello dell’Occidente, che i grandi progressi scientifici non riescono a far apparire più roseo di quanto sembri perché a nulla serve mettere a disposizione dei più fortunati programmi di turismo spaziale se si decide di abbandonare il più piccolo e fragile degli esseri umani privandolo della vita perché privato del suo statuto ontologico di essere umano. Se oggi i sorprendenti sviluppi dell’Intelligenza Artificiale spaventano più di quanto rassicurino è perché il progresso scientifico non assicura passi avanti nel progresso umano, né in quello spirituale, di una società che vanta il titolo di “primo mondo”.

L’era dei diritti ha aperto di fatto il tragico scenario del conflitto tra diritti, provocando non pochi cortocircuiti del pensiero. Ma quando il pensiero è sostituito dal sentimento i conflitti restano – così come quelli bellici sparsi per il globo – invisibili e inascoltati. Solo così il diritto alla libertà, alla cura del corpo, alla carriera, alla linea, al libero pensiero può avere la meglio sul diritto alla vita di un innocente. Solo così un paese alle prese con la sua più grande crisi demografica, che determina la fine dell’eccezione francese, anziché promuovere la natalità la condanna.

La guerra dei diritti ha sconvolto ogni precedente scala di valori, ogni gerarchia dei beni, ogni priorità umana. In cima alle esigenze resta il diritto fondamentale e inalienabile alla autodeterminazione. Costi quel che costi, mieta ciò che mieta. Tutto il resto è arcaismo accademico, bigottismo etico, anacronismo sistemico, “nostalgia mortifera” (P. Muray).

La cultura woke e il politicamente corretto che invade l’Occidente (insidiando persino un’istituzione millenaria come la Chiesa), o meglio, che l’Occidente ha generato e a cui si è affidata, mostrerà nel tempo il suo fallimento. L’impalcatura fragile, dalle fondamenta instabili, crollerà fragorosamente su sé stessa. Ma prima di ciò sarà necessario un sacrificio. Non solamente quello delle vittime sacrificate sull’altare del diritto al divertimento e al gioco che oggi anima le feste sotto la torre di Babele, attorno al Vitello d’Oro. Ma anche il sacrificio della disillusione, del risveglio – il vero risveglio (woke!) – da un sogno infranto. La presa di coscienza che il cielo promesso si è rivelato un inferno sarà il prezzo da pagare per un Occidente che ha deciso di fare a meno della ragione per scegliere il proprio ventre.

Del fallimento delle ideologie sessantottine ci stiamo accorgendo lentamente, troppo lentamente. A fatica si riconosce nella debolezza e nella liquidità della nostra società, i frutti amari ma legittimi di un inganno suicida. Molteplici segnali, che la cronaca ci propone come nudi fatti, hanno radici profonde a cui non è difficile risalire. Radici malate, radici velenose, che hanno sostituito nei programmi politici e nei cuori le radici cristiane che hanno tenuto in vita la culla della civiltà europea, “l’anima greca e cristiana dell’Europa” (D. Antiseri). Il veleno innestato nelle vene dell’Europa dai maestri del sospetto che hanno annunciato la “caduta di ogni idolatria” (Nietzsche) e la morte dell’anima (Freud, Marx), sta lentamente provocando i suoi effetti più nefasti che non si possono ora derubricare come malori improvvisi senza nessuna correlazione.

Il riconoscimento dell’aborto come un diritto costituzionale inserisce una bomba a orologeria in un paese che ha rinunciato al proprio futuro pur riconoscendo nel crollo demografico un allarme inquietante per l’avvenire. Ma nell’Impero del Bene – eccellente parabola della nostra epoca ideata dal compianto Philippe Muray (1945-2006) – e nella sua capitale Cordelia, l’homo festivus festeggia la sua fine, senza curarsi del suo amaro destino. Vive in uno sconfinato parco giochi, rincorre l’euforia generale, immerso in una “fabbrica di piacere” tra “spettacolo, gioia e felicità!”. “Godere e vivere” è l’urlo festante che sotto la Torre anima la folla sazia della propria libertà e accecata dai propri diritti.