14 giugno: Giornata Mondiale ONU per la lotta contro gli abusi verso le persone anziane. Una ricorrenza tanto doverosa, quanto negletta e screditata nei fatti. La cultura dominante promuove l’efficienza fisica e mentale, esalta l’idolo dell’assoluta indipendenza da tutto e da tutti, propugna un nuovo umanesimo ove le fragilità vengono guardate con sospetto e le disabilità buone per salvare la faccia, perché un contorno di compassione e commozione non fa male, anzi fa risaltare l’onnipotenza della perfezione.
E’ la “cultura dello scarto” indicata con chiarezza da Papa Francesco come una cifra drammatica e perversa della società consumistica. La vita umana ha “tappe” di crescita e di sviluppo, si passa per gradi dall’embrione all’anziano, ma la dignità non conosce gradini, né verso l’alto né verso il basso, perché è sempre unica, totale, piena e indivisibile in ogni stagione della vita, dal concepimento alla tappa ultima della vita terrena, la morte naturale. Proprio qui sta il nocciolo del problema: la cultura del “nuovo mondo” impone un “grading” alla dignità della persona umana, come una sorta di “curva di Gauss”, ove si parte da zero – vita intrauterina – si raggiunge un apice – vita giovane adulta, senza difetti e limiti, capace di totale autodeterminazione – per tornare allo zero nella terza/quarta età, tanto più se impoverita da qualche acciacco. Come una “patente a punti”: calando capacità funzionali fisiche e cognitive, si perdono punti e si può rapidamente raggiungere il drammatico traguardo delle “vite indegne di essere vissute”.
Dunque, è certamente buona cosa istituire una giornata contro gli abusi sulle persone anziane, ma ci auguriamo che alle parole seguano i fatti. E, purtroppo, non pare proprio che stia andando così. Perfino durante i giorni della pandemia c’è chi ha proposto di introdurre il criterio dell’età e della qualità di vita in caso di sopravvivenza come discrimine per scegliere chi avesse diritto o meno alle terapie intensivistiche. Aleggiava un impalpabile clima di “quasi sollievo” al pensiero che muoiono soprattutto gli anziani, e gli anziani già ammalati.
La deriva dell’eutanasia ha fatto capolino più volte, soprattutto fra i più giovani, vittime di quella cultura dell’edonismo che propone di liberarsi delle zavorre della società. “Quando si avverte di essere un peso, per sé, per i familiari, per la società, diventa ‘etico’ togliersi di mezzo, evitando codarde resistenze”: è quanto ho letto su un report olandese, ove si sta educando al senso di colpa, al senso di un illogico egoismo, di una beffarda testardaggine, se viene esclusa a priori la scelta eutanasica. Abuso e violenza sugli anziani è anche questo: convincere della moralità della scelta eutanasica e del suicidio, assistito o meno. Quando una società considera equipollenti il principio della difesa della vita e il principio del libero arbitrio, cancellando valori di riferimento iscritti nella natura stessa dell’uomo, vuol dire che la bussola del buon senso si è smagnetizzata e il nord antropologico si è perso.
Siamo condannati a trasformarci da pellegrini verso una meta, a vagabondi senza direzione. Una canzone degli anni ’70 diceva che possiamo diventare come “una mosca cieca che non sa più volare”. La biologia ci insegna che l’organismo umano è organizzato in modo tale da soddisfare le due pulsioni primarie (cioè che vengono prima di ogni altra pulsione o scelta) proprie di ogni essere vivente sulla faccia della Terra: sopravvivenza e procreazione. Due funzioni indispensabili per il mantenimento della specie, utilizzando categorie darwiniane. E’ davvero inquietante vedere come la longa manus dell’ideologia si sia allungata su entrambe, disarticolando l’intera esistenza umana.
E, come sempre, le vittime designate sono i figli più fragili della vita nascente e della vita calante. Stiamo diventando “strumenti ciechi di occhiuta rapina”: la ricerca dello stratega – chi sia, dove abita, con quali strumenti agisce, quali menzogne utilizzi per confondere cuore e mente – lasciamolo alla coscienza di ciascuno, magari con una chiosa finale: “Ciò che fa della nostra vita un inferno, è la nostra pretesa di farne un paradiso” (F. Hoelderlin, 1770-1843). Parafrasi laica di una verità più grande: quando l’uomo abbandona Dio, la cultura della morte trionfa perché “senza di me non potete fare nulla” (Gv. 15)