Disabilità e inclusione lavorativa, l’esempio dei Mentor

L'intervista di Interris.it al dott. Denis Trivellato, uno dei referenti del progetto di inclusione lavorativa denominato "Inclusi. Dalla scuola alla vita, andata e ritorno"

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Le persone con disabilità, purtroppo, costituiscono un gruppo molto vulnerabile nelle nostre società. Gli ultimi dati ci dicono che, in Europa, sul piano socioeconomico, oltre il 20% risulta esposto a povertà o esclusione sociale, rispetto al 14 % delle persone senza disabilità.

L’inclusione lavorativa

Un indicatore fondamentale per misurare il livello di inclusione delle persone con disabilità nella società è la soglia di inserimento e partecipazione al mondo del lavoro. In Italia, nonostante i miglioramenti degli ultimi anni e la presenza della legge 68/99 che prevede il cosiddetto “collocamento mirato”, le percentuali di occupazione rimangono basse. Si pensi che, al livello statistico, su 100 persone dai 15 ai 64 anni d’età con una disabilità, solo il 35,8% ha un’occupazione contro il 57,8% dei cosiddetti “normodotati”. Tutto ciò ha fatto sì che, per colmare questo gap, nell’ambito del Terzo Settore, abbiano preso vita diverse progettualità inclusive. Una di queste è “Inclusi. Dalla scuola alla vita, andata e ritorno” il quale, partendo dalla scuola, attraverso la figura del mentor, intende trovare un collegamento tra il mondo della scuola, quello del lavoro e della società in cui, ognuno, possa vivere in modo autonomo. Interris.it, in merito a questa esperienza, ha intervistato il dott. Denis Trivellato, uno dei dieci mentor formati, facente parte del consorzio Sir di Milano.

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Foto di Tim Marshall su Unsplash

L’intervista

Trivellato, come nasce e che obiettivi ha la figura del Mentor?

“Il progetto ‘Inclusi. Dalla scuola alla vita, andata e ritorno’ tocca diversi ambiti della vita scolastica dei ragazzi, non solo di quelli con disabilità. La figura del mentor nasce come implementazione di quella dell’educatore, non soltanto sul versante dell’inserimento lavorativo, ma nell’ambito del riconoscimento dei bisogni di un ragazzo per possibili tirocini. Si sviluppa per riconoscere dei sostegni possibili a coloro che hanno una fragilità, creando un terreno che consenta di fare leva per poter effettuare l’inserimento lavorativo”.

Quale approccio prevede la figura del mentor rispetto al Progetto di Vita della persona con disabilità?

“L’attività del mentor si inserisce in rete con le altre figure che supportano le persone con disabilità e i loro familiari a sviluppare un Progetto di Vita. In esso non c’è soltanto una quotidianità di servizi, ma è anche centrale l’impiego della persona nel mondo del lavoro. Il mentor non è una figura che lavora da sola ma, la formazione per l’educatore, lo psicologo e l’operatore sociale che lavora con i ragazzi con fragilità, è finalizzata a trovare una grammatica comune per dialogare con l’assistente sociale, le famiglie e, se sono presenti, gli operatori sanitari. Si vuole costruire insieme un riconoscimento di bisogni e sostegni, al fine di potenziare i ragazzi nell’ambito delle capacità vitali e/o potenziali, con l’obiettivo di portare tranquillità negli operatori dell’azienda ove essi andranno a svolgere il tirocinio piuttosto che l’inserimento lavorativo. L’azione progettuale del mentor all’interno di ‘Inclusi’ dura da circa tre anni. In un caso, ad esempio, abbiamo riconosciuto, in modo più preciso, le difficoltà e i potenziali supporti, lavorando sulle reti e supportando i genitori. Tutto ciò ha portato a una migliore definizione dei bisogni, operando sulla relazione con l’altro. Questo ha portato all’avvio dell’attività di tirocinio e, quest’anno, siamo già al quarto mese, svolto anche attraverso la sensibilizzazione degli operatori dell’azienda ove questo si svolge, al fine di aiutarli ad interpretare dei comportamenti e dei segnali che il tirocinante potrebbe dare. L’azione svolta porta diversi vantaggi. Il primo è la realizzazione attraverso un’esperienza di inclusione lavorativa, dall’altra abbiamo messo un tassello in più nel mondo del lavoro, sensibilizzando un’azienda e innescando un cambiamento culturale in cui, le persone con disabilità e fragilità, sono qualcuno che ha bisogno di supporti per lavorare bene. Questo, a mio parere, porta a una sensibilizzazione delle persone cosiddette ‘neurotipiche’ ad essere più sensibili nei confronti dei colleghi, migliorando così il clima emotivo delle aziende”.

Quali sono i vostri auspici per lo sviluppo della figura del mentor e sul versante dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità?

“Premetto che lavoro in un centro di formazione professionale con percorsi personalizzati rivolti alle persone con disabilità. Ciò significa che, i ragazzi che vengono nella mia scuola, hanno tutti qualche forma di fragilità ed hanno bisogno di qualche supporto nella didattica. Coloro che conseguono la qualifica nel nostro centro, hanno un elevata percentuale di inserimento lavorativo ad un anno di distanza dalla qualifica o dal diploma. Siamo specializzati nell’inserimento lavorativo delle ‘categorie protette’, ovvero di coloro che, attraverso la legge 68/99, possono essere inseriti nel mondo del lavoro, mediante il riconoscimento delle loro capacità. In riguardo alla figura del mentor, pensiamo che sia un buon inizio. Sicuramente non ci si deve fermare. Il progetto è partito con degli strumenti e della formazione. È una sorta di ‘versione beta’ delle nuove capacità che deve acquisire l’operatore che si trova a contatto con persone che hanno una disabilità. Spero e confido che, attraverso altri bandi, l’idea del mentor come operatore a 360 gradi che accompagna il ragazzo dalla scuola al lavoro. Vorrei che, questa figura, si possa investire per un continuo confronto, non soltanto per gli operatori che hanno svolto la formazione, ma anche tra categorie diverse di professionisti per valorizzarne il ruolo, con metodi scientifici e sociali, insieme a una maggiore consapevolezza di quello che, ad oggi, il mondo del lavoro, richiede. I mentor, oltre a operare sulle persone con fragilità, stanno operando nel tessuto della quotidianità e dell’inserimento lavorativo, imprimendo una svolta epocale. La sensibilizzazione del personale va a mutare la cultura lavorativa che, molto spesso, è frenetica e chiusa all’interno di quel mondo. Aiutando le persone fragili nell’inserimento lavorativo, si va a cambiare il mondo del lavoro. Tutto ciò sta accelerando l’inclusione a tutto campo su questo versante, contribuendo a mutare il paradigma”.