Conoscere il caffè per evitarne abusi e conseguenze

L’uso del caffè è, spesso, strumentale a sostenere i ritmi, sempre più esasperati, di una società indifferente alla persona ma servile alle enormi necessità produttive

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Il caffè, una tra le bevande più diffuse al mondo, elemento socializzante e abitudine rituale da secoli è, comunque, una sostanza psicoattiva che può essere utilizzata per favorire la concentrazione, la resistenza al sonno, l’energia mentale e fisica. L’impiego, diffuso e quotidiano, rende il caffè talmente familiare e abitudinario da dimenticarne le caratteristiche fisiche.

Il consumo equilibrato non rappresenta un problema. Al contrario, un utilizzo esagerato, crea dei malesseri, in forma leggera, seria o gravissima. I rischi collegati sono quelli della dipendenza e dell’astinenza da caffeina. I pericoli sono menzionati anche nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM, versione V, del 2013). Nei “disturbi da uso di sostanze”, in riferimento all’intossicazione da caffeina, si citano: irrequietezza, nervosismo, insonnia, flusso incoerente del pensiero e dell’eloquio. A causa della brusca cessazione o riduzione, nelle ultime 24 ore, si possono verificare: cefalea, notevole affaticamento, difficoltà di concentrazione e sintomi tipici dell’influenza.

In un’accezione più ampia, Papa Francesco, durante l’Angelus del 28 gennaio scorso, affermò: “Penso alle dipendenze, che rendono schiavi, sempre insoddisfatti, e divorano energie, beni e affetti; penso alle mode dominanti, che spingono a perfezionismi impossibili, al consumismo e all’edonismo, che mercificano le persone e ne guastano le relazioni”.

Il professor Michael Pollan è l’autore del volume “Piante che cambiano la mente: Oppio – Caffeina – Mescalina”, pubblicato da “Adelphi” nel settembre 2022. Parte dell’estratto recita “Per tutti noi l’assunzione quotidiana di caffeina coincide nientemeno che con la ‘condizione normale della coscienza’. Eppure, quell’alcaloide naturale è a tutti gli effetti una droga […] Emerge ogni aspetto di queste sostanze, e in particolare la loro ‘natura bifronte’: il loro essere cioè ‘veleni’ e ‘attrattori’ al tempo stesso, in grado da un lato di dissuadere gli animali dal mangiare le piante che le producono, dall’altro di spingerli a utilizzarle accrescendo così la loro espansione ecologica”.

Il ministero della Salute specifica che “gli stimolanti (a esempio amfetamine, cocaina, efedrina, pseudoefredina, caffeina) sono impiegati a uso doping in quanto aumentano il livello di vigilanza, riducono il senso di fatica e possono aumentare l’agonismo e l’aggressività. Altri effetti negativi comprendono disturbi cardiovascolari fino ad aritmie anche mortali e veri e propri disturbi neurologici e psichiatrici”.

Il sito my-personaltrainer.it precisa che “le autorità antidoping hanno infatti fissato dei limiti di assunzione, oltre i quali l’utilizzo di questa sostanza viene considerato doping e come tale punito con la squalifica dell’atleta. Un soggetto risulta positivo ai controlli antidoping quando la concentrazione di caffeina nelle urine supera i 0.012 mg/ml (= 12mcg/ml). […] Tale valore limite può essere raggiunto, a grandi linee, assumendo 800-1200 mg di caffeina pura oppure 8 tazze di caffè forte. Per questo motivo si consiglia di non superare le 6-8 tazzine di caffè espresso o le due-tre tazze di caffè tradizionale nelle tre ore precedenti la competizione”.

Nel report “Il settore del caffè in Italia e nel mondo (ed. 2023)”, Area Studi Mediobanca ha pubblicato molti dati sul consumo della bevanda. Fra questi, si legge: “L’Italia riveste un ruolo di primo piano, innanzitutto come Paese consumatore: è il settimo al mondo con 5,2 milioni di sacchi annui, circa 95 milioni di tazzine di caffè sorseggiate ogni giorno, ovvero 1,6 in media per abitante. In termini pro-capite, sono notoriamente i Paesi del Nord Europa a presentare i livelli più alti: 4,4 tazzine quotidiane per la Finlandia, 3,2 per la Svezia e 2,6 per la Norvegia”.

La caffeina, contenendo i neurotrasmettitori adrenalina e noradrenalina, determina conseguenze sul sistema nervoso centrale, stimolandone l’attività.

L’equilibrio e il buonsenso ne suggeriscono un consumo moderato, tale da non sconvolgere le capacità sensoriali, motorie, comportamentali, cognitive, relazionali, di umore e di coscienza.

Ciò che è opportuno evitare è una condanna a priori, indiscriminata. Per alcuni, la bevanda sarebbe, addirittura, responsabile di togliere il sonno e “vietare” i sogni.

Una vita senza pause, secondo la “dittatura del fare” (come sostiene il Pontefice) conduce a scorciatoie e a utilizzi non salubri della sostanza: consumare caffè per rimanere svegli a oltranza pur di adempiere alle proprie attività. Di altra natura è il bere una tazza di caffè al mattino, dopo una sana dormita, per fornire “energia” al risveglio.

Sotto processo, quindi, non deve porsi la sostanza in sé, semmai la quantità e la motivazione per le quali si utilizza.

È necessario promuoverne un uso consapevole. Ciò che occorre evitare è l’abuso, il consumo indiscriminato che, complici le condizioni di assuefazione e tolleranza (necessità di dosi più elevate per raggiungere gli effetti sperati), può arrecare danni gravi, anche a livello cardiaco e gastrointestinale.

Altra condizione collegata è quella dell’astinenza: ripercussioni fisiche e psichiche nel caso di interruzione o limitazione del consumo.

Una considerazione sottile: molte volte, per i consumatori abituali, subentra il ruolo importante delle aspettative; non si punta su un reale effetto (stemperato dalla tolleranza) bensì su ciò che ci si aspetta possa avvenire.

Al contrario di altre sostanze voluttuarie (non necessarie all’organismo), che inducono azioni psicoattive piacevoli, come l’alcol e il tabacco, di cui è nota la pericolosità, la caffeina “gode” di scarsa informazione e, quindi, di una tacita impunità. Al di là di processi infondati, è opportuno evitare l’estremismo opposto, relativo alla disinformazione.

È bene sapere che la sostanza in questione si trova pure in note bibite, consumate in tutto il mondo, anche dai bambini nonché nel cacao, nel cioccolato e negli integratori alimentari.

La caffeina riduce parzialmente il senso di appetito e favorisce lo smaltimento dei grassi. Chi, tuttavia, ne promuove un impiego intenso, per fini dietetici, fornisce informazioni errate, dolose e induce a comportamenti pericolosi.

Si tratta di casi molto rari ma un’overdose da caffeina può condurre a effetti gravi: dalla cefalea alle convulsioni sino, addirittura, alla morte.

Molto spesso simboleggia la socializzazione: la possibilità di scambiar qualche parola, in un locale o in casa; in questi casi è la bevanda più utilizzata, la prima che viene in mente, anche per i costi contenuti.

A livello sociologico, per una società cambiata radicalmente (soprattutto dopo la seconda rivoluzione industriale del periodo 1870-1920), in termini di orari, turni, ritmi circadiani e alienanti catene di montaggio, la caffeina ha rappresentato una variabile importante, un aiuto in più. Ha reso il lavoratore più duttile e malleabile, sempre pronto, più schiavizzabile.

Il focus va spostato: è la società iperproduttiva e consumistica a richiedere dei “rinforzi”, per sostenere intere giornate in cui ogni minuto deve essere ottimizzato. L’individuo deve essere il più produttivo possibile, a costo di ricorrere ai mezzi che conosce, tipicamente non considerati come nocivi.

La caffeina serve a non far frenare o rallentare il cervello, a renderlo produttivo anche oltre un certo limite, sempre nell’ottica dell’iperattivismo “h24” o poco meno. Il problema si pone quando il limite orario di funzionamento, si espande eccessivamente e anziché ottenere un beneficio, si riscontrano effetti collaterali nonché una nociva riduzione del giusto sonno.

La prospettiva della dipendenza, quindi, va rivista. Non è la persona a essere (direttamente) dipendente, quanto la società in cui questa è inserita, nel bel mezzo del vorticoso meccanismo del “fare”.

Il caffè si beve meglio, meno e più consapevolmente, se si conoscono le caratteristiche e se si assume uno stile di vita sobrio, misurato, con i giusti tempi tra quello familiare e lavorativo; rifiutando, di fatto, i ritmi e le catene di montaggio del mondo contemporaneo, le cui pause sembrano ideate solo per rendere la persona più sveglia e pronta a sostenere nuovi carichi di sfruttamento.