L’importanza di rafforzare i rapporti commerciali con Pechino

Foto © Leonardo Puccini (Imagoeconomica)

E se il rapporto di forza dell’Italia con la Ue, in particolare con la presidente von der Leyen, dipendesse dalla nuova politica estera di Palazzo Chigi, (ovviamente quella extra Unione) e non dal banale gioco di scacchi in corso per le nomine della Commissione? Qualcuno, fra gli addetti ai lavori, ha iniziato a porsi la domanda, nella consapevolezza di quanto siano rilevanti i rapporti con i Paesi amici, o vicini alla visione del nostro governo, per capire come si muoverà la bilancia di Bruxelles.

La sin troppo sbrigativa, se non addirittura tranchant, bocciatura della tattica usata in occasione della rielezione di Ursula da parte della componente di cui fa parte Fratelli d’Italia, il partito della premier, evidentemente è priva di questi aspetti, dei quali vedremo gli effetti nelle prossime settimane, quando i risultati della missione in Cina saranno definiti e messi a terra. Quel che già si può dire è che la Meloni torna da Pechino dopo aver tessuto nuovi rapporti bilaterali, ricucendo, forse, lo strappo del 2023, iniziando a riscrivere le relazioni economiche fra Italia e Cina.

Come ha saggiamente spiegato Oliviero Frattolillo, professore ordinario in Storia e Istituzioni dell’Asia presso Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre, intervistato da Il Giornale, “la visita della premier nella Repubblica Popolare Cinese può rivestire un’importanza centrale per diverse ragioni. In particolare, questa potrebbe rappresentare un’occasione diplomatica cruciale per tarare o, più in generale, per distendere i rapporti tra i due Paesi in seguito alla decisione presa dal governo italiano di fuoriuscire dall’iniziativa nota come la via della Seta, nel 2023, alla quale aveva aderito in pompa magna il governo di Giuseppe Conte con la firma del memorandum nel 2019”. E proprio da qui potrebbe iniziare la nuova politica estera dell’Italia.

“Il ‘disgelo’ del dialogo diplomatico con Pechino, accompagnato da una rivitalizzazione dei rapporti commerciali tra l’Italia e la RPC, potrebbe fornire al governo italiano la possibilità di spendersi a Bruxelles come interlocutore privilegiato di Pechino”, spiega ancora il professor Frattolillo, “un’occasione che rappresenterebbe anche un’opportunità per la Meloni di guadagnare un margine di consenso nell’attuale complessa congiuntura a livello europeo che l’ha vista esclusa dagli esiti delle recenti elezioni per la formazione della nuova compagine politica dell’Unione”.

Un’analisi, quella del professore di Roma Tre, da mandare a memoria, in modo da confrontarla con i fatti delle prossime settimane. In pratica, per l’Italia, giocare di sponda con la Cina, senza essere complici delle loro scelte politiche ma solo partner commerciali privilegiati, può significare due cose.

Da una parte mettere i soci europei di fronte ad un fatto compiuto, ovvero dove avete fallito voi riusciamo noi. Del resto se la Von der Leyen vuol davvero insistere sulla pista ecologica, mettendo la macchia europea sulla strada della svolta green, il rapporto con la Cina è un dato imprescindibile, le materie prime necessarie arrivano da li.

Ma volendo tornare alle questioni continentali è necessario registrare un altro cambio di scena. Sulle deleghe per il commissario europeo italiano “sto parlando con Ursula von der Leyen, ma sono contatti in divenire, ovviamente”, ha spiegato la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, rispondendo alle domande della stampa italiana a Pechino. Per indicare “questi nomi abbiamo tempo fino al 30 agosto, è una delle cose le quali vorrei occuparmi appena rientro. Credo che su questo chiaramente bisogna fare anche una valutazione con i partiti della maggioranza, ma insomma, è una delle prime cose di cui mi occuperò al mio rientro”. “Non vedo ripercussioni negative per l’Italia, non ritengo che i rapporti con la Commissione europea stiano peggiorando. Io e la Commissione europea abbiamo discusso” del report sullo stato di diritto “e del resto la lettera che io ho inviato non è una risposta alla Commissione europea o a un momento di frizione con la Commissione europea, è una riflessione comune sulla strumentalizzazione che è stata fatta di un documento tecnico nel quale mi corre l’obbligo di ricordare che gli accenti critici non sono della Commissione Europea”, ha chiarito Meloni.

Dopo l’affondo, la mano tesa, resa più forte dai risultati ottenuti a Pechino. Non a caso la premier, a Pechino, ha voluto segnare un punto molto importante. “Ho ribadito che l’aggressione della Russia all’Ucraina è un attacco frontale alla convivenza pacifica fra i popoli e alle regole del diritto internazionale”. Quanto al sostegno della Cina alla Russia, “sicuramente noi siamo stati abbastanza chiari nel porre la questione provando a ragionare insieme anche su quali siano gli interessi che ha ciascuno”. “Penso che la Cina non abbia alcuna convenienza in questa fase a sostenere la capacità industriale russa, anche se come sappiamo non interviene direttamente, è evidente che questo crea una frizione perché lo abbiamo scritto in tutti i modi possibili e immaginabili e lo abbiamo ribadito e io spero che ci si renda conto che questa nazione può giocare veramente un ruolo dirimente. Il presidente Xi diceva che la Cina lavora sempre per la convivenza pacifica tra i popoli ecco mi piacerebbe che si facessero dei passi in questo senso”, ha sottolineato Meloni. E tutto questo sarà oggetto di dibattito nelle cancellerie europee.