Il dovere di non rassegnarsi alla guerra

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Ormai ogni giorno papa Francesco leva la sua voce per invocare la pace. L’escalation militare in Medio Oriente, in Europa Orientale e nelle decine di conflitti ignorati in Africa e Asia addensano nubi minacciose sul futuro dell’umanità. Il Pontefice non si rassegna alla crudele logica della guerra attualizzando così la lezione, antica di 16 secoli, di un Dottore della Chiesa Cattolica come San Giovanni Crisostomo: “Non dire: ‘Mi è impossibile influenzare gli altri’. Se sei cristiano è impossibile che questo non avvenga. È più facile per la luce diventare tenebra che per il vero cristiano non splendere”. Nemica della pace non è solo la guerra, ma anche l’indifferenza.

“Nessuno deve minacciare l’esistenza altrui. Tutte le nazioni si schierino invece dalla parte della pace, e aiutino gli israeliani e i palestinesi a vivere in due Stati, fianco a fianco, in sicurezza è un loro profondo e lecito desiderio. Ed è un loro diritto! Due Stati vicini”, afferma il Santo Padre. Nei suoi interventi il Papa ribadisce con tono sempre più dolente le sue implorazioni di questi mesi di guerra: “Si percorrano le vie del dialogo con determinazione. Si aiuti le popolazioni precipitate in una catastrofe umanitaria. Basta con la guerra, con gli attacchi, con la violenza! Sì al dialogo, alla pace, al desiderio di un mondo migliore, di un mondo in pace”. Con il pensiero rivolto ai “tanti bambini che soffrono per le guerre in Ucraina, in Palestina, in Israele, nel Myanmar e in altre parti del mondo”. Dopo gli accorati appelli all’Angelus e nelle udienze in Vaticano, Jorge Mario Bergoglio ha appena inviato un forte messaggio al Global Christian Forum in corso ad Accra, in Ghana: “In un mondo segnato dalla divisione e dalla rivalità, i cristiani offrano testimonianza di unità”. Ecco il “legame intrinseco tra ecumenismo e missione cristiana”: incarnare l’amore di Dio Uno e Trino che non mai è indifferente. “Dio non ci abbandona mai – assicura il Santo Padre -. La pace è un dono divino affidato a tutti gli uomini e a tutte le donne, che sono chiamati a realizzarlo”. Francesco offre il modello di una Chiesa aperta, che esce da se stessa, si china sui poveri, si spalanca al mondo sentendosene parte e percorrendo la via della solidarietà con il genere umano per adempiere al mandato di Cristo.

Negli incessanti appelli di pace del Papa si avverte il soffio evangelico di quel costante riferimento alla Parola di Dio che pone i credenti in un atteggiamento di umiltà, di non autosufficienza, di apertura al dialogo. A sostenere lo stop alla guerra deve essere la comunità mondiale di tutte le persone di buona volontà. Le guerre e le azioni terroristiche hanno sempre conseguenze tragiche: da qui scaturisce l’esortazione papale a non abbandonarsi alla rassegnazione. Il male di pochi si nutre dell’apatia di molti. L’odio è il tradimento della fraternità. “Caino e Abele sono fratelli. Provengono entrambi dallo stesso grembo, sono uguali in dignità ma tra loro avviene la prima rottura nelle relazioni di solidarietà e rispetto reciproco -. insegna Francesco -. Il sangue di Abele ha, però, grande valore agli occhi di Dio che chiede a Caino di renderne conto”. Oggi a insanguinare il mondo è la “terza guerra mondiale a pezzi” e il Pontefice oppone la condivisione dei valori universali come argine di civiltà a quanti operano per trascinare interi popoli in conflitti che “ne distruggono non solo le ricchezze materiali, culturali e sociali, ma anche l’integrità morale e spirituale”.

Sulle orme di Gesù, Principe della Pace, ciascun cristiano può essere antidoto alla violenza affinché si incrementino ovunque gli sforzi per individuare percorsi di negoziato. Vincere l’indifferenza e conquistare la pace comporta una vera e propria lotta, un combattimento spirituale che ha luogo nel cuore umano. La pace che Dio desidera seminare nel mondo deve essere coltivata dagli uomini. Non solo, la pace deve essere anche conquistata. Al contrario l’indifferenza fa pensare solo a sé stessi e crea barriere, sospetti, paure e chiusure. “Abbiamo, grazie a Dio, tante informazioni, ma a volte siamo così sommersi di notizie che veniamo distratti dalla realtà, dal fratello e dalla sorella che hanno bisogno”, sottolinea Francesco che ci sprona ad aprire il cuore, risvegliando l’attenzione al prossimo.

E’ questa l’unica via per la conquista della pace. Ma molti serrano il cuore per non prendere in considerazione gli altri, chiudono gli occhi per non vedere ciò che li circonda o si scansano per non essere toccati dai problemi altrui. Nel promuovere una cultura di solidarietà e misericordia, contro la “globalizzazione dell’indifferenza”, il pensiero di Francesco va principalmente alle famiglie, chiamate ad una missione educativa primaria ed imprescindibile: costituiscono il primo luogo in cui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro.

In un mondo che troppe volte è duro con il peccatore e molle con il peccato, c’è bisogno di coltivare un forte senso della giustizia, del ricercare e mettere in pratica la volontà di Dio. La cultura dell’individualismo sfrenato finisce per essere spietata e invece lo stile di vita del cristiano deve essere “colmo di pietà, di empatia, di compassione, di misericordia, attinte ogni giorno dal pozzo della preghiera”. Una visione profetica, fatta di misericordia e di tenerezza. “Se non abbiamo pace, è perché abbiamo dimenticato che apparteniamo gli uni agli altri – dice Madre Teresa di Calcutta – La pace inizia con un sorriso. Sorridi cinque volte al giorno a una persona a cui non vuoi sorridere: fallo per amore della pace”. Non rassegnarsi alla guerra è un dovere e una missione.