Voto in Francia: il futuro della nuova Europa

Mentre la nuova Commissione europea prende forma ricalcando quella vecchia, la tornata elettorale francese accende una spia sulla stabilità dell'Unione

Francia elezioni
Foto di Antoine Schibler su Unsplash

Trenta giugno e 7 luglio. Con epilogo giusto una settimana prima della Festa nazionale, quando sarà più chiaro quale direzione politica avrà intrapreso la Francia. I cittadini d’Oltralpe sono pronti a dire la loro, chiamati in causa dal presidente in persona, Emmanuel Macron, convinto dalla recente tornata europea a dare la parola al popolo per capire se il trend destrorso sia effettivo o se, piuttosto, legato a un’insoddisfazione prettamente sul piano europeo. Per quella che è parsa essere la percezione reale dell’elettorato nei confronti dell’Unione europea come ente effettivo, la seconda ipotesi appare poco credibile. E, probabilmente, deve aver pensato così anche il leader uscente dell’Eliseo, che ha indetto la tornata elettorale subito dopo aver avuto la certezza della schiacciante affermazione di Marine Le Pen alle Europee. Una decisione quasi istintiva, quasi a volersi accertare, nell’immediatezza, l’esito di un risultato che, in fondo, a sorpresa lo è stato fino a un certo punto.

Francia, la controprova

Il popolo francese, in buona sostanza, è chiamato a una controprova. Anche perché in ballo non c’è solo il futuro politico della Francia ma il ruolo di Parigi nell’ambito di un’Europa in fase di rinnovamento. Che poi del tutto rinnovamento non è, considerando che la direzione intrapresa dai vertici per la definizione dei top jobs sembra quella delle riconferme. Uno scenario tutt’altro che da sottovalutare nell’ambito di un’elezione interna (quella francese) a così stretto giro da una tornata europea che ha espresso chiaramente l’indirizzo politico del popolo. “Ho l’impressione che l’Ue stia cercando di replicare una Commissione disastrosa, in barba al voto in Europa – ha spiegato a Interris.it Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa -. La questione non è tanto l’affermazione delle destre visto che, su certi temi, anche il governo socialdemocratico slovacco è dissonante rispetto all’Unione europea. Ormai le spaccature non sono più riconducibili a destra e sinistra. La Commissione nasce da accordi tra alcuni Stati, che si rendono protagonisti lasciando ai margini altri, in questo caso l’Italia. Tuttavia, non mi sorprende il tentativo di mantenere Commissione fallimentare”.

La bilancia francese

In sostanza, a un primo sguardo, la direzione politica dell’Europa sembra dipendere solo fino a un certo punto dall’esito del voto francese. Se non altro perché, al netto della rilevanza di Parigi nell’ambito della Commissione, le trattative per le nomine sembrano in ogni caso orientate alla strategia del rinnovo, senza tenere più di tanto in considerazione le leadership politiche dei singoli Paesi: “Macron, che ha il peso per determinare la stabilità europea, è oggi un esponente di minoranza. E questo vale per la presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, e anche per Antonio Costa. Persino la Von der Leyen rappresenta una politica minoritaria in Germania. L’impressione è che vi sia una tendenza all’indebolimento dell’Europa. Non so se e quanto il voto francese, per le sue dimensioni di consensi, potrà determinare il futuro dell’Ue. In generale, si ha la sensazione di un’Europa più lontana dai singoli Stati. Paradossalmente, le Elezioni europee hanno dimostrato la solidità di un solo governo, quello italiano, che tutti operano per mettere ai margini”.

Una Commissione distaccata

Quindi avanti tutta verso una Bruxelles più o meno speculare a quella che ha appena terminato il suo mandato. Nonostante il voto, nei singoli Stati, abbia espresso quantomeno un trend di rinnovamento, a prescindere dalla parte politica verso la quale pende la bilancia: “La Commissione corre il serio rischio di essere totalmente distaccata dal sentimento di molti cittadini e molti Paesi. E questo sì potrebbe essere accentuato dal voto francese”. In questo senso, un’eventuale affermazione totale di Rassemblement National (già vincitrice delle due precedenti Europee, nel 2014 e nel 2019, seppur con margini meno ampi) potrebbe far scattare un campanello d’allarme a Bruxelles.

Il rischio destabilizzazione

Una sorta di preavviso, se mai ce ne fosse bisogno, che lo status quo esistito fin qui è pronto a sciogliersi con il sole estivo: “Gli equilibri che possono cambiare nei singoli Paesi – ha concluso Gaiani – potrebbero rafforzare il convincimento che questa Unione, così com’è, non funziona. Non solo, ma che sia dannosa per i cittadini e, per questo, accelerare il processo di scollamento. E la destabilizzazione ulteriore dell’Europa non sarebbe la ricetta per nessun problema, anzi, ne creerebbe altri. Con una Commissione che sta cercando di nascere e che, ben che vada, sembra intenzionata a replicare quanto fatto in passato, errori compresi, c’è il pericolo di distruggere la residua credibilità dell’Ue. Questo lo trovo molto pericoloso e, nei singoli Paesi, non solo in Francia, porterebbe a valutazioni che non farebbero bene all’Europa come istituzione”.

La questione nomine

In realtà, la direzione intrapresa sembra ormai definita. Non solo nel percorso politico ma anche nei nomi. I quali, a cominciare dall’estone Kaja Kallas all’Alta rappresentanza, sembrano aprire a riflessioni di tipo non europeo: “I Paesi baltici sono molto vicini agli Usa, e la stessa Kallas non ha nascosto la sua avversione contro la Russia. Se gli eventi dovessero condurre a un negoziato con Mosca bisognerà tenerne conto”.