Il virus Ebola ci ha fatto ripiombare di colpo nella Milano del 1630, quando durante la pestilenza si diffuse la psicosi che qualcuno cospargesse di una sostanza giallastra (come la descrive Manzoni) luoghi e oggetti con cui una persona entrava spesso in contatto, come le maniglie delle porte, per contagiare gli abitanti delle città con il morbo. L’untore era chiunque fosse sospettato di poter trasmettere la malattia; un terribile pregiudizio capitato ai nostri giorni in una scuola di Fiumicino, in provincia di Roma, a una bambina di 3 anni: Chanel.
La piccola, infatti, di ritorno da una vacanza in Uganda insieme alla mamma e alla sorella, si è vista sbarrare le porte della scuola materna non dalle disposizioni di legge né dall’Istituto, ma dall’intransigenza di altre mamme, dalla paura incontrollata di contrarre il virus, da un allarmismo diffuso al limite del razzismo.
“Abbiamo passato giorni di angoscia – racconta in esclusiva a In Terris il papà, Massimiliano –. Eppure non c’era alcun motivo reale per poter solo immaginare qualche rischio; l’unica spiegazione è che venivamo dall’Africa. Ma l’Uganda non è un Paese contagiato, e comunque prima di partire, esattamente il giorno prima, ho fatto fare alle mie figlie tutte le analisi necessarie a stabilire la loro totale buona salute. Non solo, ma mia figlia non ha avuto alcun sintomo particolare, né una febbre né un raffreddore. Ciò che è accaduto è pura follia…” Uno schiaffo alla razionalità, ma anche all’umanità che dovrebbe accompagnare ogni decisione che riguarda bambini così piccoli. Le mamme hanno imposto una legge nuova: o lei, o gli altri; se Chanel fosse entrata in aula sarebbero usciti i suoi compagni di classe.
Di più: il web in questo caso ha complicato le cose, offrendo alle mamme l’informazione sui 21 giorni di incubazione della malattia, parametro che è stato preso come dogma per calcolare quando la piccola avrebbe potuto rioccupare il suo posto tra i banchi. Cosa avvenuta invece questa settimana grazie alla mediazione della preside prof.ssa Iannarelli, che pure aveva garantito da parte della scuola la possibilità di entrare in classe, e che con la sua presenza ha fatto in modo di superare l’ostracismo che si era evidenziato.
Il problema in questo caso non è burocratico, ma culturale. L’episodio accaduto la dice lunga sul terrorismo psicologico che ha fatto breccia nella popolazione, un virus altrettanto pericoloso quanto quello della malattia. Il rifiuto dell’altro, la discriminazione geografica è il primo passo verso una nuova forma di razzismo: i sani da una parte, i malati dall’altra. Certo le precauzioni sono importanti, ma il passaggio dalla giusta preoccupazione alla discriminazione è veloce.
Senza considerare che sulle paure e l’ignoranza della gente si innesca sempre un business senza scrupoli: ecco dunque apparire su eBay una serie di tute protettive contro ogni materiale nocivo, ivi incluso il virus dell’Ebola il cui nome fa bella mostra di sé nella didascalia di almeno un centinaio di diversi modelli, con prezzi che variano da un dollaro di base d’asta fino ad arrivare a 2.500 per le versioni più accessoriate. La sezione è quella che si rivolge ai cosiddetti survivalist o – nella traduzione italiana – sopravviventi. Quelli che a casa hanno lo zaino sempre pronto in caso di pandemie, esplosioni atomiche, cataclismi di ogni genere, apocalissi, zombie e così via. Il risultato è la perdita del senso di accoglienza e la costruzione di barricate culturali, come nel caso di Chanel.