Un concetto semplice in grado di fare la storia: si potrebbe riassumere cosƬ l'incredibile parabola di Tutto il calcio minuto per minuto,Ā fresca dei festeggiamenti per il suo sesto decennio di attivitĆ sportiva a tutto tondo e, in un mondo dalla veste mutevole come quello della comunicazione, ormai una vera e propria istituzione del giornalismo che fu. Sigla identificativa, format avanguardistico per un'epoca in cui il calcio si giocava una volta a settimana, capace di alimentare letteralmente minuto per minuto la fame crescente dei tifosi che allo stadio non potevano andarci. E che, magari, controllavano i risultati in aggiornamento per vedere se mai corrispondessero a quelli segnati sullaĀ schedina. Rimbalzo di voci, tutte storiche (Enrico Ameri, Sandro Ciotti, NicolĆ² Carosio e i loro coevi pionieri della radiocronaca), da campo a campo, coniando lƬ per lƬ frasi che sarebbero entrate nella leggenda. Un'aura di nostalgia e di emozioni, merito della radio e della sua intrinseca capacitĆ di far emozionare, discutere, appassionare. Emanuele Dotto quell'epopea l'ha attraversata, testimone del passaggio generazionale che ha accompagnato l'avvicendamento dal vecchio calcio, quelloĀ sinonimo di comunitĆ e valori, a quello delle cifre astronomiche e dei turni spezzatino. D'altronde, se le epoche cambiano portano con sĆ© anche tutto il resto, calcio compreso. Tranne la passione.
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Emanuele Dotto, i 60 anni di Tutto il calcio minuto non sono un mero anniversario ma la testimonianza di come la passione per lo sport abbia saputo attraversare in qualche modo i cambiamenti delle forme di comunicazione. E, al di lĆ degli appassionati e di coloro che ne vissero gli albori, questa trasmissione continua a godere di un'affezione anche fra i piĆ¹ giovani…
“Ć dovuto al fascino antico della radio che ha un meccanismo che ti consente di essere presente nel momento dellāavvenimento. Il successo di Tutto il calcio…Ā ĆØ dovuto alla contemporaneitĆ , alla rapiditĆ e al fatto di possedere lāesclusiva. In questo momento non ci puĆ² piĆ¹ essere una trasmissione cosƬ comāera negli anni Sessanta o Settanta, senza concorrenza. Allāepoca non cāera nulla, solo questa grande idea di Guglielmo Moretti di abbinare allāavvenimento sportivo la diretta nel secondo tempo. Si ispirĆ² a una trasmissione francese, Sport&Musique, che alternava brani musicali a racconti di rugby, lo sport popolare in Francia, di ippica e di calcio. Il 10 gennaio del 1960 traslĆ² questo format francese impiantandolo in Italia: Tutto il calcio minuto per minuto aveva un campo principale – inizialmente cāera solo una partita e alla fine venivano dati i risultati delle altre -, poi tre quattro campi collegati, poi se ne aggiunse stabilmente uno di Cā¦ E cāera quindi questo rimpallo di linea tra Ameri, Ciotti, Ferretti, Provenzaliā¦ era una specie di messa cantata della domenica pomeriggio e milioni erano gli ascoltatori per il fatto che non ci fosse concorrenza, perciĆ² si lavorava in regime di monopolio, la contemporaneitĆ e la diretta: erano i tre cardini su cui si fondava la trasmissione. Anche se i tempi sono cambiati rimane uno zoccolo duro di appassionati, anche se ritengo che il futuro sia molto precario perchĆ© anche in Italia, come in Spagna, si arriverĆ a giocare dieci partite in dieci orari diversi. E questo credo sia il modo ideale per ammazzare qualsiasi tipo di trasmissione che abbia come concetto fondante la contemporaneitĆ ”.
Un punto fondamentale questo: la domenica di sport consentiva non solo un'identificazione ma anche un senso di aggregazione attorno all'evento…
“Un senso di comunitĆ , di chiesa al centro del villaggio. Era questa lāidea di Tutto il calcioā¦ Poi le cose si sono evolute con la televisione, che a volte ha fatto del bene e altre volte del male perchĆ© ha consentito lāesplosione anche dei modi piĆ¹ rudi, come ad esempio il sensazionalismo. Basti pensare allāavvento del Processo del lunedƬ,Ā che visto oggi sembrerebbe fatto da educande, mentre ora non cāĆØ controllo e nemmeno piĆ¹ quel garbo che la radio ha saputo diffondere a piene mani”.
La radio, senza l'ausilio dell'immagine, concentra la sua essenza sulla padronanza del linguaggio e sulla capacitĆ di riuscire a trasmettere emozioni. Rischiamo di perdere questi stimoli?
“Essenziale il linguaggio e anche la capacitĆ di sollecitare lāimmaginazione. Il pericolo che intravedo nelle radiocronache di calcio ĆØ la cattiva imitazione della televisione dove tutto ĆØ superlativo, eccezionale, ogni parata ĆØ straordinaria, ogni gol ĆØ memorabileā¦ CosƬ si perde il concetto della normalitĆ perchĆ© nella pallacanestro il canestro non ĆØ lāeccezione ma la regola. E nel calcio il gol dovrebbe essere la finalizzazione dellāazione. Adesso si canta e si sproloquia a qualsiasi ora. Il web diffuso a piene mani mi vede abbastanza contrario perchĆ© sono figlio di unāaltra generazione, della radio piĆ¹ che della tv e non conosco il web in tutte le sue sfaccettature. Non ho Facebook perchĆ© non credo che debbano interessare alla gente i fatti miei. Questa piazza globale si popola ma si spopola di animo perchĆ© hai tutto e il contrario di tutto”.
In questo senso, il giornalismo di oggi risente anche in termini qualitativi del cambiamento dei metodi di comunicazione?
“Direi di sƬ. Intravedo una pericolosa china, di gente poco dotata culturalmente e che, soprattutto, legge poco. Si comunica con gli strumenti tecnologici ma non si riesce a leggere nĆ© a comprendere cosa sia la bellezza di una pagina di letteratura”.
E in questo si inserisce anche il tema del brusco calo della carta stampata, con l'interazione cittadino-quotidiano che continua a calare…
“Un calo drastico, la stalla ĆØ stata chiusa quando i buoi erano giĆ scappati. Se si consente lāaccesso gratuito alle fonti dāinformazione come si puĆ² tornare poi a chiedere soldi? Giorni fa sono entrato in un bar, cāerano tre o quattro giornali e la gente in fila per leggerli senza che nessuno lo avesse comprato prima. Soltanto fino a dieci anni fa il Secolo XIX di Genova vendeva 130 mila copie, ora appena 20 mila. E ogni cittadino che muore ĆØ un lettore perso”.
La sensazione ĆØ che anche gli interlocutori – sportivi, allenatori –Ā siano cambiati rispetto a qualche decennio fa, allargando la bolla d'aria fra giornalista e intervistato. Ne risente anche la mediazione con il pubblico?
“Le cose sono drasticamente cambiate a metĆ degli Anni Duemila. Nellā85 ricordo che intervistavo Maradona e Zico cosƬ come Tempestilli e Correnti: i giocatori venivano, potevi dialogare con loro. Ora Ronaldo non puoi neanche vederlo, figurarsi mettersi dāaccordo per unāintervista. Ora ĆØ tutto massimizzato, uffici stampa ma si ĆØ perso il contatto diretto, non fai piĆ¹ da mediatore fra il lettore e il campione. E non disturbare il manovratore ĆØ la cosa peggiore per il giornalismo”.
A proposito di interlocutori, conservi ricordi particolari di qualcuno di loro?
“Soprattutto a due allenatori. Uno, Vujadin Boskov, era un uomo di unāintelligenza eccezionale e acuta che, al di lĆ delle sue battute storiche, ne aveva unāaltra che era il compendio di una vita: āGentilezza costa niente e compra tuttoā. Basta essere gentili per avere un passo diverso nel rapporto con la realtĆ . Era un uomo di profonda cultura che aveva fatto il calciatore ma in Jugoslavia, in una societĆ fortemente permeata dalle Forze armate e su un tessuto austro-ungarico, quindi rispetto delle regole: lui pretendeva che i suoi giocatori andassero vestiti in giacca e cravatta perchĆ©, come diceva loro, ānoi siamo la Sampdoriaā. Osvaldo Bagnoli, invece, era un uomo di grande umanitĆ , una persona che forse non aveva studiato ma che possedeva unāintelligenza superiore, come dimostra lo scudetto vinto col Verona. Aveva capito che il calcio era un gioco collettivo, dove bastava avere un portiere che parasse e un centravanti che segnasse per assemblare una squadra e portarla piĆ¹ avanti possibile con calma e serenitĆ . Io non ho mai visto giocare Schiaffino ma secondo mio padre era il miglior giocatore di tutti i tempi: tu mettevi dieci persone che camminavano per la strada assieme a lui e facevi una squadra di calcio. Adesso questo non succede”.
Vujadin Boskov e Osvaldo Bagnoli, campioni d'Italia rispettivamente con Sampdoria (1990) ed Hellas Verona (1985)
PerchƩ?
“Il calcio ĆØ diventato talmente individuale che i giocatori non vanno nemmeno a cena insieme. Penso al Cagliari del ā70, alla Sampdoria del ā90 o allo stesso Verona: avevano un cemento umano che alla Juventus di oggi manca completamente, non per cattiveria ma perchĆ© sono cambiati i tempi. I giocatori scendono con le cuffie transistor per ascoltare non si sa bene cosa. Mi manca un poā quel calcio lƬ. Certo, aver intervistato due dei piĆ¹ grandi calciatori di tutti i tempi come Maradona, che io considero il migliore in assoluto da un punto di vista calcistico, e Zico ti fa capire come le cose siano drammaticamente cambiate. Ora gli addetti stampa non ti fanno intervistare neanche il magazziniere”.
Raccontare via radio permette di spaziare da uno sport all'altro conservando la medesima abilitĆ di trasmettere prossimitĆ e stimoliĀ mentre si racconta una tappa del Giro piuttosto che una gara di canottaggio?
“Crea una suggestione, perchĆ© la radio dĆ emozioni. Se ci sono campioni che te le danno come Coppi, Gimondi, Merckx o Pantani, hai scosse di adrenalina pazzesche. Poi cāĆØ tutto il contorno, i corridori, gli spettatori che stanno per ore a bordo stradaā¦ In questo le cose non sono poi cosƬ cambiate rispetto al ciclismo eroico degli anni Trenta o Quaranta. Oppure la bellezza del gioco del tennis, che ora viene massacrato da queste nuove formule estremamente complesse, senza criterio e senza speranza se non di avere visibilitĆ televisiva. Io sono della generazione della pallacanestro da due punti, del cambio palla nella pallavolo, delle bandierine blu e bianca nella pallanuoto. Lo sport ĆØ radicalmente cambiato ma rimane il fascino delle Olimpiadi: io ne ho fatte undici, otto estive e tre invernali. E gli sport cosiddetti minori come il canottaggio sono quelli a cui sono maggiormente legato. E questo al di lĆ dei successi dei fratelli Abbagnale che hanno unificato lāItalia dal punto di vista sportivo. Era gente che ha davvero faticatoĀ e che, per comprare una casa, ha dovuto vincere due Olimpiadi e sette titoli mondiali.
In sostanza torna tutto a quel che dicevamo prima: la capacitĆ di chi racconta di far proprio ciĆ² che vede e di saper trasmettere a chi ascolta ciĆ² che prova in quei momenti, naturalmente nel miglior linguaggio possibile…
“Se dovessi dare un consiglio a un giovane sarebbe quello di leggere tanto. Ma dei libri, non gli smartphone. Cercare di uniformarsi a un linguaggio il piĆ¹ completo e garbato possibile. Lāitaliano ĆØ una lingua meravigliosa: perchĆ© dire weekend quando si puĆ² dire fine settimana. Credo che la stagione antica di Tutto il calcio stia volgendo al tramonto perchĆ© manca quel concetto di contemporaneitĆ che ne aveva fatto la fortuna prima di essere limitato dalla televisione. Un conto ĆØ vedere spezzettate 7-8 partite, un conto ĆØ ascoltarle alla radio: il rimbalzo della linea ti faceva capire che il risultato era cambiato anche solo sentendo i rumori. Il boato significava gol, il brusio uno preso”.