Donne e bambini, che insieme rappresentano il 70% della popolazione mondiale, sono le categorie più a rischio di esclusione sociale. Il loro destino è innegabilmente correlato: il benessere dei bambini dipende strettamente dal benessere di chi se ne prende cura. Migliorare la condizione delle donne, quindi, rappresenta anche un primo passo per contrastare la povertà di bambini, bambine e adolescenti. Inoltre migliorando la condizione dei bambini, in particolare delle bambine, si creano le premesse per una migliore inclusione delle donne.
E’ quanto si evince dal WeWorld Index 2015, il primo rapporto sulla condizione di bambine, bambini, adolescenti e donne nel mondo. All’incontro di presentazione alla Farnesina, con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale hanno partecipato il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, la Vicepresidenza del Senato, e rappresentanti di Agenzie e Ong Internazionali, tra cui UN Women Italia, Autorità Garante Infanzia ed Adolescenza, World Food Programme.
L’Italia ottiene i risultati migliori nell’ambito della salute di bambine/i e donne, e dell’educazione di base. Queste dimensioni, unite ai buoni risultati relativi al capitale umano ed economico, ai bassi livelli di conflittualità, al contesto democratico, permettono al nostro Paese di posizionarsi tra i primi 20 al mondo.
Tuttavia alcuni indicatori ne evidenziano una pessima posizione, in particolare, per l’accesso ad internet (55°); per il livello di inquinamento ambientale (71°); per il livello di corruzione (69°). Sono da considerare particolarmente negativi gli indicatori che riguardano la spesa per l’istruzione (92°) e la parità di genere, l’occupazione femminile, la violenza contro le donne, oltre la 100° posizione.
L’Italia sta vedendo comunque il suo contesto ambientale ed economico degradarsi abbastanza rapidamente quindi è poco probabile che possa conservare questa posizione se non verranno prese iniziative lungimiranti in tema di occupazione femminile, crescita economica e salvaguardia dell’ambiente.
Ai primi posti della classifica solo Paesi del Nord Europa: qui oltre a una diffusione generalizzata dei servizi di base, quasi ovunque sono garantite pari opportunità tra uomini e donne nella vita politica, economica e sociale.
I Paesi africani nell’indice si trovano tutti dopo l’82° posizione (Ruanda). Qui molto spesso a mancare è l’accesso ai servizi di base: acqua potabile, educazione, salute. Molti Paesi, soprattutto Nord Africa e Medio Oriente, sono penalizzati per mancanza di politiche di genere. Le donne in questi Paesi sono infatti svantaggiate o esplicitamente discriminate.
Stesso discorso si può fare per l’Asia Meridionale dove quasi tutti gli indicatori inerenti l’inclusione di donne e bambini/e mostrano pessimi risultati (salute, educazione, lavoro minorile). A questo, anche qui, si aggiunge il permanere di forti stereotipi maschili che tendono a svilire il ruolo della donna.
Fatta eccezione per il Brasile (54° – ma ancora nella stessa categoria dell’Italia), gli altri i Paesi dove WeWorld interviene (109° Tanzania, 116° Cambogia, 119° Nepal, 124° Kenya, 130° India, 137° Benin) rientrano nelle ultime categorie con un indice di inclusione insufficiente o esclusione grave.
“Abbiamo dato importanza ad aspetti che incidono profondamente sulle possibilità di vita di una persona: la sicurezza, il livello di inquinamento, l’alfabetizzazione degli adulti”. Dichiara Marco Chiesara, Presidente di WeWorld – “Alcune di queste categorie agiscono in maniera diretta rispetto all’inclusione, altri hanno effetti più diretti di quanto possa sembrare a prima vista. Per questo crediamo che tutti questi valori, insieme, ci permettano di ottenere una misurazione puntuale dell’inclusione. Alcune delle principali cause di esclusione, infatti, non vengono mai prese in considerazione. Indipendentemente dalla ricchezza di un Paese, vivere in un contesto con un tasso di omicidi alto o in una nazione che ha subito conflitti ha ricadute profonde sul tessuto sociale, in particolare su donne, bambini, bambine e adolescenti.”